Sono passati quasi venticinque anni, è cambiato tutto e praticamente nulla. La geografia politica dei Balcani è stata rivoluzionata, l’ex Jugoslavia si è disgregata in mille pezzi, in nome dell’indipendenza e dell’autodeterminazione dei popoli. Anche negli ultimi anni nuovi Stati e nazioni continuano a proclamarsi indipendenti, come il Montenegro, ultimo nato nella Penisola, staccatosi dalla Serbia solo nel 2006. Ma la regione non trova pace. E neppure il suo universo calcistico, perché una nazionale, a volte persino una squadra di club, rappresenta una popolazione intera. E così quando la Serbia incontra in uno stadio la Croazia, o l’Albania, o un altro Stato vicino, non è mai solo questione di pallone.
Del resto, era stato proprio il calcio a far da miccia per la polveriera dei Balcani: 13 maggio 1990, al Maksimir di Zagabria va in scena il “derby” Dinamo-Stella Rossa, passato tristemente alla storia per il calcio di Zvonimir Boban, astro nascente del pallone croato, ad un agente di polizia nel tentativo di proteggere un tifoso suo concittadino (video). Boban verrà squalificato per sei mesi e salterà i Mondiali di Italia Novanta. Fra i due Paesi, invece, esploderà definitivamente il conflitto che porterà nel giugno del 1991 all’indipendenza croata. Una nazionale della Croazia, d’altra parte, aveva esordito sulla scena internazionale (seppur non ufficialmente) addirittura nel 1940, ed era stata molto attiva negli Anni Ottanta, ben prima del riconoscimento politico. A riprova del doppio filo che ha sempre legato il calcio e la storia travagliata di questi Paesi.
Dopo la frantumazione, Slovenia, Croazia, Macedonia e dal 1996 anche la Bosnia hanno partecipato alle competizioni Fifa e Uefa con una propria rappresentativa. E quelli stessi ragazzi che in passato avevano a lungo giocato insieme, magari anche nelle giovanili della ex Jugoslavia, si sono ritrovati avversari sul campo. Era successo, ad esempio, agli Europei del 2000 in Belgio e Olanda, con una grande partita fra Slovenia e Jugoslavia, ricordata per fortuna solo per il risultato sul campo: un pirotecnico 3-3, con gli sloveni che erano stati in vantaggio anche per 3-0 e riuscirono ad uscire indenni contro i più quotati cugini. Ben più tesi, invece, i rapporti tra la Serbia e le altre repubbliche ex jugoslave. Ancora un match fra Croazia e Serbia era stato inquietante avvisaglia di quanto accaduto ieri a Belgrado.
Le due nazionali si erano incontrate (o meglio scontrate) nel settembre del 2013, nel girone di qualificazione per i Mondiali in Brasile. E anche in quell’occasione il clima era stato più quello di una battaglia che di una semplice partita. Le forze dell’esercito spiegate dentro e fuori lo stadio, sugli spalti ululati e cori razzisti. Sul campo botte da orbi: come il fallo killer del capitano croato, Josip Simunic (uno che poi si è beccato una maxi squalifica di dieci giornate per cori nazisti), ai danni di Sulejmani, letteralmente fatto volare a tre metri da terra, con inevitabile rissa successiva (video). Lì per fortuna tutto era finito dopo qualche attimo di tensione, e l’arbitro era riuscito a condurre in porto la partita.
E’ andata peggio ieri sera, perché di mezzo c’era anche una bandiera dai mille significati e una ferita più recente, tutt’altro che rimarginata: quel Kosovo, regione serba a maggioranza albanese, che il governo di Belgrado proprio si rifiuta di accettare. Anche nel calcio, dove la nazionale kosovara (i cui giocatori più rappresentativi, da Behrami a Shaquiri, sono “profughi” in altre nazionali, soprattutto quella Svizzera) solo ad inizio 2014 ha ricevuto il via libera dalla Fifa per disputare la sua prima amichevole, pur non essendo ancora pienamente riconosciuta. In futuro anche loro potrebbero prendere parte ai gironi di qualificazione. E costituire un nuovo problema per la Uefa, che forse dovrebbe davvero rassegnarsi a separare nel sorteggio (come già succede per altri casi analoghi) nazionali che non possono incontrarsi su un campo di calcio. Evidentemente la storia e i fantasmi del passato sono ancora più forti dello sport.