Non ha fine l’Odissea di Alcoa. Proprio mentre i rappresentanti degli oltre 500 lavoratori dello stabilimento sardo di Portovesme vedevano avvicinarsi la possibilità di un accordo con il gruppo anglo-svizzero Glencore, disposto ad acquisire la fabbrica ferma dal 2012 a fronte di garanzie sul costo dell’energia, dal Tribunale dell’Unione europea arriva l’ennesima tegola. Sotto forma di una sentenza che ribadisce come le tariffe elettriche agevolate concesse (nel 2009 e nel 2011) da Roma alla stessa Alcoa, ma anche alla vicina Portovesme srl, produttore di zinco che fa capo proprio a Glencore, e a Eurallumina, siano assimilabili ad aiuti di Stato e dunque “incompatibili con il mercato comune”. Con la conseguenza che l’Italia deve farsi ridare i soldi. I giudici ricordano che la Commissione ha già censurato gli aiuti (il 19 novembre 2009 per Alcoa e il 23 febbraio 2011 per Portovesme e Eurallumina) ordinando all’Italia di procedere al loro recupero. Le società avevano chiesto al Tribunale l’annullamento di quella decisione, ma con la sentenza di oggi tutti i loro argomenti e ricorsi sono stati respinti. E ora i sindacati temono che Glencore possa fare marcia indietro. Ma il tempo stringe: lo scorso agosto Alcoa ha comunicato la chiusura definitiva dell’impianto di Portovesme, fermo dal 2012, e a breve potrebbe iniziare a smantellarlo. Per di più la cassa integrazione straordinaria per i dipendenti Alcoa termina a fine anno. 

“Solo mercoledì abbiamo fatto un notevole passo avanti nella trattativa: il governo ha dato assicurazioni sulle tariffe energetiche, garantendo che saranno in linea con la media europea grazie allo strumento dell’interrompibilità (l’azienda accetta che in caso di necessità il fornitore le “stacchi la corrente” e in cambio paga meno) e si è detto disponibile a stanziare fondi per i prepensionamenti che si renderanno necessari dopo il revamping (gli interventi di ristrutturazione, ndr) della fabbrica”, racconta Mario Crò, segretario territoriale della Cisl. “Il giorno dopo, del tutto inaspettata, viene fuori questa sentenza”. Che chiama in causa la stessa Glencore nelle vesti di proprietaria di Portovesme, anche se in quel caso le cifre in ballo sono molto più contenute rispetto ai 250 milioni chiesti ad Alcoa, la quale peraltro in una nota fa sapere di aver già “rimborsato integralmente” il dovuto. 

In questa fase delicatissima, è la preoccupazione dei sindacati, la sentenza europea potrebbe far nascere interrogativi sull’affidabilità delle promesse incassate dall’esecutivo. Nel senso che Glencore potrebbe temere di essere chiamata, in futuro, a metter di nuovo mano al portafoglio in seguito a un altolà delle strutture di Bruxelles che vigilano sulla concorrenza. “Anche nel caso di Alcoa, infatti, i passati governi avevano garantito che si sarebbero fatti carico di eventuali contestazioni. Ma la Commissione, in questi casi, impone di rivalersi sui beneficiari finali”, spiega Franco Bardi, segretario confederale della Cgil del Sulcis Iglesiente. “Ma in questo caso i mezzi che si vogliono mettere in campo per contenere il costo dell’elettricità sono diversi e secondo noi non contestabili, anche perché utilizzati normalmente da altri Paesi europei come la Spagna: da un lato l’interrompibilità, dall’altro l’interconnector, cioè la possibilità di importare energia ai prezzi vigenti sul mercato estero”. E anche Daniela Piras, segretaria provinciale della Uilm metalmeccanici, sottolinea che quel che si chiede sono “solo le stesse opportunità degli altri paesi europei e non agevolazioni”.

Per Guglielmo Gambardella, segretario nazionale Uilm, la sentenza aumenta l’urgenza “di avere un quadro aggiornato sullo stato di avanzamento delle trattative per la cessione del sito di Portovesme e verificare la serietà delle manifestazioni formulate dai soggetti interessati, perché gli ammortizzatori sociali sono in scadenza e non si può giocare sulla pelle dei lavoratori”. Le segreterie nazionali dei sindacati metalmeccanici hanno richiesto un incontro al ministero dello Sviluppo economico per riavviare il confronto.

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