Per il Fatto Quotidiano ho sempre realizzato immagini in digitale, cioè disegnando direttamente al computer. Non è solo una scelta dettata dalle tempistiche – spesso strette nei quotidiani – ma anche dal mio piacere personale di lavorare in digitale. Non faccio grandi distinzioni “etiche” tra il lavorare al computer o a mano. Non credo che un disegno ad acquerello sia più sincero di uno realizzato al computer. Nella mia vita ho visto immagini digitali che mi hanno scaldato il cuore quanto tanti dipinti rinascimentali. Inoltre il mondo è pieno di disegni a mano super acquerellosi che sembrano dire “Signori e signore, ammirate le spettacolari abilità della tecnica ad acquerello!” e spesso chi snobba l’illustrazione digitale non è neanche in grado di riconoscere un disegno fatto a matita da uno fatto al computer. Tanto per capirci, qui sotto ho disegnato due cerchi. Il primo è al computer, il secondo a mano. Al colpo d’occhio si direbbe l’esatto opposto.
Francesco Chiacchio – amico e disegnatore geniale – qualche anno fa risolveva la questione “a mano o in digitale” con una semplice battuta in cui sosteneva grossomodo che possiamo fare quello che ci pare, basta farlo con gusto. Parole sante. Chiacchio si muove tra disegni umoristici, faune di schizzi, torbide pitture e collage jazzistici. Il suo lavoro mi ha sempre emozionato molto.
Questa settimana per l’inserto del mercoledì non ho usato né matita né computer perché ho fatto un collage. Ricevo dalla redazione del Fatto un pezzo piuttosto teorico, difficile da illustrare ma per fortuna l’autore Emanuele Ferragina coniuga un’espressione colorita “maggioranza invisibile” allora immagino una piccola folla di uomini trasparenti attraversare un città e nelle orecchie mi suonano le note di Philip Glass per il film Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio.
La musica di Philip Glass suona almeno due volte alla settimana tra le pareti del mio studio.
Inutile aggiungere che se non avete visto questo drammatico documentario sulla nostra esistenza, siete delle persone molto fortunate perché avrete un capolavoro da scoprire. L’esempio per me perfetto di opera d’arte: qualcosa che ti fa capire qualcosa di te stesso attraverso le tue stesse emozioni. Ho scoperto Koyaanisqatsi (e l’intera trilogia Quatsi) in periodo universitario per caso in una rassegna di cinema. L’avrei apprezzato anche tra i banchi del Liceo senza dover aspettare che un gruppo di ragazzi organizzassero una rassegna di cinema a loro spese. Mi sembra che i tempi siano abbastanza maturi per far girare questo film nella scuola dell’obbligo.
Questa è l’illustrazione apparsa mercoledì scorso su Il Fatto.
Questa è l’unica effettiva differenza tra un lavoro fatto al computer e uno fatto a mano.
Ci risentiamo giovedì prossimo.