Dopo più di dieci anni dalla nascita dell’euro, la produzione di saggi riguardante i suoi pro e i suoi contro è cresciuta in maniera esponenziale. Sulla claudicante moneta comune ne ha scritto persino lo speculatore George Soros in Salviamo l’Europa che si arroga, dopo i suoi attacchi alla sterlina e alla lira, il diritto di dare consigli.
Il dibattito è andato polarizzandosi tra coloro che con l’euro pensavano che avremmo vissuto in una sorta di Disneyland, (celebre resta la frase pronunciata nel 1999 da Romano Prodi: con l’euro lavoreremo un giorno in meno e guadagneremo come se lavorassimo un giorno in più) e coloro come l’economista Claudio Borghi che prospetta con l’uscita dell’euro la soluzione di tutti i problemi italici omettendo le complessità ataviche che abbiamo. Borghi è autore di Basta Euro, un testo finanziato dalla Lega Nord, un investimento da parte del partito di sicuro più riuscito rispetto alla laurea di Er Trota comprata a Tirana.
Credo che per analizzare in maniera costruttiva questo argomento, sia fondamentale spogliarsi di quell’armatura ideologica che si indossa allorquando si parla dell’euro. Un atteggiamento da ultras che spesso trapela sia nelle pubblicazioni libraie che nei dibattuti televisivi.
La miriade di saggi pubblicati negli ultimi anni palesano che stiamo assistendo ad un cruento regolamento di conti fra due dottrine economiche: quella di stampo keynesiano e quella neoliberista. L’Europa, in particolare l’area della moneta comune, è un terreno privilegiato per costatare come le posizioni neoliberali stiano nettamente vincendo questa guerra economica tanto da poter parlare ormai di pensiero unico.
Dagli anni ’70, terminato il cosiddetto trentennio glorioso keynesiano, è iniziata la controrivoluzione neoliberista che, poco alla volta, ha derubato i cittadini di diverse sovranità, in Italia tutelate anche dalla Costituzione. Monti, nel luglio del 2012, ha persino fatto inserire in Costituzione il pareggio di bilancio mediante la modifica dell’articolo 81: il colpo mortale ai keynesiani e ruolo dello Stato nel creare occupazione.
Economisti come il Nobel Paul Krugman avevano avvertito che l’Europa non è un’area valutaria ottimale e legare a un cambio fisso economie così dissimili, determina che i Paesi forti diventino creditori ed esportatori e quelli deboli importatori e debitori. Come ha sintetizzato l’economista belga Toissent, introdurre l’euro è stato come far salire sullo stesso ring un peso massimo come Cassius Clay contro un dilettante peso piuma.
L’euro è destinato a deflagrare perché ha tradito l’Europa e la domanda da farsi è come sarà l’Europa dopo l’euro? L’anomalia che la Bce possa prestare alle banche e non direttamente agli Stati, il Fiscal Compact e il vincolo del 3% renderanno impossibile una ripresa. Il vero problema è che come per i codici della giurisprudenza anche per un modello economico all’origine si cela una visione di società, un pensiero e libri come Il Tramonto dell’Euro di Bagnai o Figli di Troika di Amoroso rischiano di essere strumentalizzati. Il timore è che certe corrette spiegazioni economiche siano usate dai molti permeati da grette visioni provinciali ed escludenti. La Lega in Italia, Il Fronte Nazionale in Francia e Alba Dorata in Grecia ne sono un’espressione.
Una responsabilità va attribuita a coloro che in questi anni non hanno marcato la differenza tra l’idea di Europa dei popoli e l’euro. La prima è un obiettivo auspicato dalla quasi totalità degli europei che credono nella democrazia, il secondo da quelle lobby economico finanziarie che mirano a depauperare il potere del popolo tanto che persino un filosofo moderato come Jürgen Habermas ha invitato a diffidare della democrazia di facciata che vige nel vecchio continente.
Una ben riuscita coniugazione tra analisi tecnica e visione politica è L’austerità è di destra di Brancaccio e Passarella, un libro che mi auguro l’editore ne invii una copia saggio a palazzo Chigi.
Anteporre l’unione monetaria a quella politica e sociale ha accelerato un processo che richiedeva più tempo, ma purtroppo uscire dalla moneta comune non è la panacea di tutti i mali. Non lo è se non ci si libera da una mentalità mercantilista, se restano le diseguaglianze, se non si ha sovranità monetaria, se la finanza non viene fermata e se non si produce rispettando l’ambiente. In altre parole se non si cambia questo paradigma economico di cui l’euro ne è un’espressione.