Cinema

Festival di Roma, Last Summer quattro giorni per dire addio al proprio figlio

L’opera prima di Leonardo Guerra Seragnoli, direttamente da Prospettive Italia della rassegna romana arriva in sala dal 30 ottobre). Nel cast Rinko Kikuchi, Yorick Van Wageningen, Laura Bach e Lucy Griffiths

di Davide Turrini

Una barca usata come set/unità spaziale circoscritta, uno sviluppo drammaturgico che tende a ripetere situazioni di conflitto tra personaggi aggiungendo ad ogni scena un ulteriore impercettibile senso di inquietudine; un cast artistico internazionale, molto glamour e fascinoso: ecco Last Summer, l’opera prima di Leonardo Guerra Seragnoli, direttamente da Prospettive Italia del Festival di Roma 2014 (in sala dal 30 ottobre). Forse qualcuno ricorderà Il Coltello nell’acqua di Roman Polanski, qualcun altro Ore 10: Calma Piatta dell’australiano Phillip Noyce, ecco, Last Summer trae spunto da questo necessario e voluto isolamento e allontanamento dalla terraferma per raccontare la vicenda lampo di una giovane donna giapponese che ha quattro giorni per dire addio al figlio di sei anni, di cui ha perso la custodia, a bordo dello yacht della facoltosa famiglia occidentale dell’ex-marito. Sola con l’equipaggio che ha il mandato di sorvegliarla a vista, la donna affronta la sfida di ritrovare un legame col bambino prima di doversene separare per il resto della vita.

“Quattordici anni fa, una donna, seduta sul divano di casa dei miei genitori, venuta a cena da noi, non riusciva a trattenere le lacrime. Rimasi a guardarla dal bordo della stanza. Provava a raccontare con una voce esile che suo marito le stava portando via i figli. Questo ricordo, rimosso per molti anni, è poi riapparso fino a svilupparsi interiormente e trasformarsi nel soggetto di Last Summer”, spiega il regista Leonardo Guerra Seragnoli, nipote della milionaria imprenditrice bolognese Isabella Seragnoli, lui stesso membro del cda dell’azienda di famiglia Coesia Group, “Con il film volevo indagare la possibilità dell’inizio di un rapporto nella sua fine; raccontare il travaglio di un riavvicinamento. La lotta di potere in cui lo squilibrio di determinate dinamiche sociali rende difficile mantenere intatta la propria identità. Un microcosmo inaccessibile che è luogo di isolamento e coercizione permeato da sentimenti di disorientamento e sconfitta”. Rinko Kikuchi, la protagonista di Babel, interpreta la madre; Yorick Van Wageningen, l’attore tedesco di The Chronicles of Riddick è uno degli addetti della nave; la norvegese Laura Bach e l’inglese Lucy Griffiths arricchiscono infine un cast internazionale di primo piano nonostante ci si trovi di fronte ad un’opera prima: “Avevo il desiderio di capire come oggi, mentre si assiste a uno sgretolamento delle identità nazionali sul web, si crei di pari passo una necessità d’identità culturale maggiore e se questo fosse stato possibile metterlo in discussione subliminalmente in una storia che sia su carta che nella sua creazione s’azzardasse, nella sua commistione, in favore di un centro emotivo universale”.

Ambientato su una barca a vela straordinaria progettata dall’architetto Odile Decq, girato per 24 giorni tra il mar Adriatico e lo Jonio, facendo tappa per una scena del film sulla costa di Otranto, Last Summer vede anche una serie di collaborazioni di prestigio nel cast artistico: ai costumi (non solo da bagno) l’Oscar Milena Canonero (che ha anche partecipato alla produzione), la montatrice austriaca dei film di Michael Haneke, Monika Willi, infine la collaborazione allo script della scrittrice Banana Yoshimoto insieme ad una vecchia conoscenza del fumetto italiano, IgorT: “Ho vissuto in Giappone e lavorato da oltre vent’anni con editori del Sol Levante. E mi ha sempre affascinato il loro modo di vedere il mondo”, ha spiegato il fumettista cagliaritano, “In Giappone chi abbandona l’isola in un certo senso tradisce, questo è un non detto molto presente nella psicologia nipponica, una cosa che crea una specie di solitudine, un vuoto esistenziale importante. Le cose non sono quello che sembrano, ci insegna la mistica orientale. Fedeli ai dettami di questo tipo di storytelling, si è cercato, nel possibile, di raccontare un dramma universale; di parlare al cuore. Che i giapponesi chiamano kokoro, un cuore spirituale”.

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