Vitalizi agli ex parlamentari Paperoni. Ricchissimi, ma costano 20 milioni al mese
Rampolli del capitalismo industriale italiano, imprenditori e banchieri. Siedono tutti su enormi patrimoni personali ma nessuno rinuncia alla rendita a vita che ha conquistato in Parlamento, anche per due anni soltanto o quando ne aveva 40. E così incrementano ancora la loro ricchezza a spese dello Stato. Ecco una lista
Due miliardi di patrimonio, tremila euro di vitalizio. Luciano Benetton ha quasi 80 anni ed è seduto su un impero. Per Forbes è 13esimo nella classifica dei più ricchi d’Italia. Ma in ogni caso non rinuncia a 3.108 euro di vitalizio. E per che cosa? Per aver passato due anni in Parlamento. Che dire poi del re degli elettrodomestici, Francesco Merloni? Ex senatore della Repubblica è a capo di un gruppo industriale che all’ultimo bilancio ha registrato un fatturato di 1,3 miliardi di euro. Un patrimonio ragguardevole che arrotonda poi con i 6.087 euro accreditati ogni mese dalla tesoreria di Palazzo Madama, dove non mette piede da 14 anni. E dopo i capitani dell’industria arrivano i re della finanza, gli avvocati d’affari e i banchieri. Tutti uniti nel sacro vincolo del vitalizio.
Scorrendo l’elenco dei beneficiari salta all’occhio la categoria meno sopportabile dei “Paperoni”, cioé coloro che erano ricchi prima ancora di candidarsi e che dalla politica hanno ottenuto pure una rendita fino a 9.470 euro al mese. Avete capito bene. C’è un’Italia che tira la carretta per una magra pensione e un’altra che si gonfia tasche già piene a spese di contribuenti più poveri di loro e attraverso una forma particolarmente odiosa di arricchimento degli eletti a danno degli elettori. Sopratutto alla luce della condizione del Paese.
Nel club dei “sei zeri” si ritrovano dunque rampolli del capitalismo industriale, top manager e finanzieri da rotocalco, banchieri e bancarottieri. Va tutto bene, ma se uno è proprio ricco sfondato? Pace, i privilegi devono essere uguali per tutti. E’ pur sempre una forma di redistribuzione della ricchezza, solo funziona al contrario: chi più ha più riceve, chi meno ha più versa. Di rinunciare spontaneamente non se ne parla proprio: il pudore non è di casa. E allora, visto che li dobbiamo proprio pagare e costano all’incirca 4 euro a contribuente, facciamo almeno le presentazioni. Ecco per chi si apre il nostro borsello.
Francesco Merloni –6.087 euro
Figlio del fondatore Aristide, già senatore della Repubblica, il re degli elettrodomestici è stato parlamentare per 7 legislature e più volte ministro. Con un reddito di un miliardo di lire nel ‘92 era il più ricco governante a palazzo Chigi. Oggi per fortuna lo è molto di più. E’ presidente onorario del gruppo Ariston Thermo che nell’ultimo esercizio ha fatturato 1,33 miliardi di euro. Che fare del vitalizio da 6.087,31 euro netti? Se rinunciare fa brutto, lo si può sempre usare in opere di bene. Lui giura di versarli tutti in beneficenza come del resto dichiara di aver fatto con gli stipendi parlamentari. Tra le opere di bene si segnala anche il finanziamento alle campagne elettorali del Pd, in particolare 35mila euro all’amico Enrico Letta, all’ultima tornata. Anche la nipote Maria Paola, del resto, si è tuffata in politica senza lasciare l’azienda. E un giorno spetterà a lei completare la tripletta delle pensioni versate dagli italiani alla dinastia degli industriali in fuga dall’Italia.
Vittorio Cecchi Gori – 3.408 euro
Con l’aria che tira versiamo 5mila euro al mese a un produttore cinematografico che s’era convinto di vivere nel film di Sergio Martino “Ricchi, ricchissimi… praticamente in mutande”. Ebbene sì, nell’elenco c’è anche lui. L’ex presidente della Fiorentina Vittorio Cecchi Gori capitolato sotto il tiro incrociato del fallimento della società di famiglia (Finmavi) e delle inchieste giudiziarie. Nel giro di 10 anni ha dissipato il suo enorme patrimonio e per onorare i debiti s’è venduto quasi tutto: i diritti su 500 pellicole a Mediaset, gli appartamenti di Palazzo Borghese e quelli New York. A 72 anni la stagione dello sfarzo senza regole è finita e per fortuna c’è ancora quel vitalizio di 4.725 euro lordi ma “certi, liquidi ed esigibili” che il Senato gli accredita ogni mese per 10 anni da parlamentare. Un paracadute pubblico che mai si chiuderà, neppure sotto una pioggia di condanne per bancarotta.
Luciano Benetton –3.108 euro
Ha fondato un impero che controlla autostrade, autogrill, marchi d’abbigliamento e chi più ne ha ne metta. E’ stato eletto nelle fila del Partito Repubblicano nel 1992, quando aveva 57 anni. Con un reddito di 688 milioni di lire era già il più ricco della XI Legislatura. Dopo due anni lascia la politica ma tanto gli basta per maturare un vitalizio, che percepisce ancora oggi, di 3.108 euro netti al mese. Probabilmente lui neppure se n’accorge, è una goccia in un mare di ricchezza: secondo Forbes il sua patrimonio personale vale ormai due miliardi di dollari. Proprio così, stiamo pagando la pensione al 13esimo cittadino più ricco d’Italia, il 736esimo al mondo. Forse però mr. “Due Miliardi” ne ha davvero bisogno, perché in vent’anni non ha mai rinunciato.
Santo Versace – 1.589,07 euro
Detiene il 30% di un gruppo che ha chiuso l’ultimo bilancio con un fatturato di 479 milioni di euro. Ma a Santo Versace, per la non memorabile attività di deputato, versiamo una pensione di 1.589,07 euro netti. Non che ne avesse bisogno: quando è stato eletto tra le fila del Pdl nel 2008, dichiarava un reddito personale di 903mila euro. Sarà deformazione professionale o la fede politica incerta fatto sta che in tre anni cambierà casacca secondo la stagione: dal Pdl passa al Gruppo misto, poi Alleanza per l’Italia (Api), quindi Fare per Fermare il declino e infine si avvicina al movimento di Passera “Italia Unica”. Altrettanto volitiva l’attività di presidente della holding di famiglia, ma con grandi soddisfazioni: dopo aver ceduto il 20% della maison Medusa al fondo americano Blackstone i Versace si sono fatti un regalo prelevando dalla cassaforte di famiglia (Givi Holding) un dividendo di 45,3 milioni di euro. Tanti zeri, ma rinunciare al vitalizio? Non ci pensa proprio, era una questione di stile.
Luigi Rossi Di Montelera – 5.401,57
Champagne per il Signore dei Martini. Luigi è uno dei rampolli della blasonatissima famiglia Rossi di Montelera che controlla l’impero Martini&Bacardi, la terza società mondiale nel mercato degli spirits. Nelle vene scorre il sangue dei conti Napoleone e Nicoletta dei Marchesi Piccolini di Camugliano, al dito la fede che condivide con Maria Giulia dei Marchesi Malvezzi Campeggi. Con tutti questi conti non poteva resistere all’attrazione bancaria: è appena stato rieletto presidente della Banca Regionale Europea. Soldi e nobilità non gli impediscono tuttavia di continuare a percepire un vitalizio di oltre 5mila euro al mese per quattro mandati sotto il blasone della Democrazia Cristiana. Anche se non mette piede in Parlamento da 23 anni.
Antonio Patuelli – 3.028 euro Tutti a dire che a questo Paese serve una politica bancaria. Eccola: le banche non danno soldi agli italiani ma gli italiani a corto di soldi pagano la pensione ai banchieri. Non è uno scherzo. Nell’elenco dei beneficiari di vitalizio tanti ce ne sono. A partire dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli. Un baby pensionato, a dire il vero: prende 4.725 euro al mese (3.028,46 netti) dal 1994, quando a soli 43 anni ha archiviato la carriera politica maturando il vitalizio. Dal 2013 guida l’associazione bancaria sfruttando il Lodo da lui stesso ideato anni prima, quando dell’Abi era vicepresidente. Prevede l’alternanza tra un nome espresso dai grandi gruppi bancari e uno dai piccoli. E lui, ovviamente, è anche presidente di uno di questi, la Cassa di Risparmio di Ravenna. Ha lasciato il segno la sua prima frase da ex poliico assurto a presidente delle banche: “Fuori la politica dalle banche”.
Nerio Nesi – 3.018,83 euro
Da politico ha esordito col Capitale di Marx, poi s’è occupato soprattutto del capitale di banca. Nerio Nesi è un singolare caso di compagno-banchiere. Prima socialista, quindi comunista, poi ministro dei Lavori pubblici per conto di Armando Cossutta. Nel frattempo è stato anche vicepresidente della Cassa di Risparmio di Torino, ad della Banca Subalpina e infine presidente di Bnl. Oggi ha quasi 90 anni ed è particolarmente impegnato nelle questioni dello sviluppo compatibile, delle conquiste del lavoro, di etica e interesse pubblico. Tutte cose belle quanto astratte: il compagno Nesi non ha mai rinunciato al vitalizio: 3.018 euro netti al mese.
Roberto Mazzotta –4.815 euro euro
La tesoreria della Camera gli bonifica 4.815 euro netti, ma forse lui neppure se ne accorge. Classe 1940, ufficialmente Roberto Mazzotta non mette piede in Parlamento dal 1983, quando dal Lingotto usciva la gloriosa Fiat Uno. Nel frattempo ha scalato il mondo bancario fino a fare il bello e il cattivo tempo tra i ricchi istituti meneghini accumulando fior d’incarichi e ingenti patrimoni. Ex presidente di Cariplo e di Bpm al tempo degli “amici”, nel 2008 dichiarava un reddito di 719mila euro. A novembre compirà 74 anni, portati benissimo: è presidente di Mediocredito Italiano, il braccio finanziario del gruppo Intesa, e dell’Università Vita Salute del San Raffaele. La pensione da onorevole è la mancia del banchiere. E Mazzotta la riscuote dall’età di 43 anni.
Giancarlo Abete – 4.035,39 euro
Ex diccì, industriale, editore e stampatore Giancarlo Abete, 64 anni, per più di venti ha piantato le radici nei prati del pallone nostrano. Secondogenito del cavalier Antonio Abete è stato in Parlamento dal 1979 al 1992. Da presidente della Figci incassava un’indennità modesta (36mila euro) abbondantemente compensata dalle cariche nella cassaforte dell’azienda di famiglia, la A.Be.Te, che condivide col fratello Luigi, presidente di Bnl e vicepresidente dell’Abi. Quando ha lasciato il Parlamento, nel ’92, la società fatturava 150 miliardi di lire. E lui, a soli 42 anni, maturava allora un vitalizio che ancora incassa: 4.035,39 netti al mese per tre legislature.
Antonio Matarrese –4.646,27 euro
Altro manager del calcio benedetto dal vitalizio. Classe 1940, imprenditore e dirigente sportivo da Prima Repubblica Matarrese è entrato in Parlamento nel 1976 con la Dc e ne è uscito nel 1994, dopo cinque legislature. Il suo nome ha pesato a lungo sul calcio italiano (Fgci, Lega Nazionale, Fifa, Uefa…) e sulla Bari che conta: è fratello del presidente del Bari Calcio, Vincenzo, del vescovo Giuseppe Matarrese e dell’imprenditore edile Michele. Nel 1992, in occasione dell’ultima elezione denunciava un reddito imponibile di un miliardo e 178 milioni, svettando tra i più ricchi in Parlamento. Due anni dopo lascerà la Camera, portandosi dietro un vitalizio che riceve tutt’ora: 4.646,27 euro netti al mese.
Franco De Benedetti – 4.581,48 euro
Altro rampollo del capitalismo familiare italiano. Che sia uomo di certa sinistra – militante, liberista e moralista insieme – lo certifica il cognome. Franco De Benedetti, fratello di Carlo, imprenditore e senatore per tre legislature appartiene di diritto alla categoria di quelli che “non ne abbiamo bisogno”. Ancora oggi, alla veneranda età di 81 anni, siede nei cda di CIR, Cofide, Piaggio&c Spa, Banca Popolare di Milano, Iride Spa, China Milan Equity Exchange. Per i suoi 15 anni di attività parlamentare dal 1993 riceve regolarmente una pensione di 4.581,48 al mese. Rinunciare a tanta ricchezza fa brutto. Il suo personale pensiero in proposito lo ha espresso in una recente intervista a Tempi: “No alla patrimoniale, meglio tagliare la spesa”. Meglio sicuro, per chi ha patrimoni Benedetti.
Franco Bassanini – 6.939,81
Nella categoria dei pensionati “top” spicca anche l’ex ministro Bassanini, oggi presidente della Cdp. Professore ordinario di diritto costituzionale, parlamentare dal 1979 al 2006, ministro nei governi Prodi, D’Alema e Amato ha sette vite, come un gatto. Appartiene d’ufficio anche alla specie dei Paperoni di Stato: nel 2013, ultimo dato disponibile, dichiarava un reddito di 540mila euro, tra le proprietà un appartamento a New York. Come presidente della Cassa Depositi e Prestiti dal 2008 riceve 300mila euro l’anno. Il resto, salvo consulenze e tripli incarichi, arriva direttamente dalle tasse degli italiani che volentieri contribuiscono alla sua serenità con 6.939,81 netti al mese. Qualcuno gli impunta ancora, tra le varie riforme, d’aver messo le ali agli stipendi dei dirigenti pubblici. Compreso il suo.