“Quando ero giovane mi piaceva bere l’acqua direttamente dal fiume Basento. Era pulita e fresca. Ho sentito che di recente l’hanno bevuta due capre. Sono morte all’istante”
Don Leonardo durante la predica a Pisticci Scalo, Marzo 2014
Pisticci è un piccolo comune in provincia di Matera. La frazione Pisticci Scalo venne progettata negli anni Sessanta come zona industriale, fiore all’occhiello della Val Basento. Fra le varie ditte che si sarebbero insediate a Pisticci Scalo, l’Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili (Anic) che aprì un impianto per la produzione di alcool metilico e di fibre sintetiche.
Inizialmente l’Anic era una partnership fra l’Agip, Montecatini e l’Aipa, l’Azienda Italiana Petroli Albanesi, quest’ultima sussidiaria dell’Agip stessa. Successivamente, con la gestione Mattei, e il riordino degli enti trivellanti d’Italia, la Anic passò sotto il controllo diretto dell’Eni.
Oltre all’impianto di Pisticci Scalo, l’Anic aveva interessi a Ravenna, a Gela, a Manfredonia, Sannazzaro dei Burgundi, e Sarroch. In queste località – oggi certo paradisiache – l’Anic installò raffinerie, impianti per la produzione di fertilizzanti, fibre e vari altri derivati del petrolio.
Al sup apice, a Pisticci Scalo, l’Anic impiegava 3.000 persone.
Dopo vent’anni, negli anni Ottanta, le prime chiusure: pian piano la produzione di fibre e di alcool cessò. Si decise di passare ad una “rinconversione” industriale e di creare un Parco Tecnologico per nuovi insediamenti produttivi.
E così nel 1990 nacque la Società Tecnoparco, una società a capitale misto pubblico, con la regione Basilicata, e privato, con Sorgenia, che fa capo a Carlo De Benedetti. Dal proprio sito web, Tecnoparco afferma di “offrire servizi in ambito energetico ed ambientale”, servizi che comprendono il trattamento di acque e scarichi industriali, nonché lo smaltimento di rifiuti provenienti da siti contaminati o potenzialmente tali.
Dopo cinquant’anni dall’inizio dell’industrializzazione della Val Basento, questa zona è un sito di interesse nazionale – inquinato e da bonificare. Negli mesi mesi, vari dirigenti Eni e Tecnoparco sono stati indagati per presunti reati ambientali fra cui traffico illecito di rifiuti petroliferi provenienti dal Centro Oli dell’Eni a Viggiano. Secondo le indagini, le acque di scarto del Centro Oli sarebbero finite prima in vasche di smaltimento a Pisticci Scalo e poi direttamente nel fiume Basento senza che gli idrocarburi fossero totalmente eliminati. Il tutto per almeno tre anni. Il risultato è che nel fiume Basento i livelli di idrocarburi sono maggiori dei limiti di legge.
Ovviamente la Tecnoparco dice che le sue attività non c’entrano niente, che è colpa della mancanza di depurazione nei centri abitati, delle aziende agricole della zona e che i dati sono fluttuanti. La provincia di Matera però concluse già nel 2012 che parte delle vasche della Tecnoparco non avevano “sistemi anti-emissioni”. Interessante che ci sono state anche delle diffide e risarcimenti ai danni verso giornalisti e cittadini per “presunto intento diffamatorio“.
Ad ogni modo, queste attività “parapetrolifere”, come le chiama Assomineraria, certo non migliorano la qualità della vita.
A Pisticci Scalo ci sono camion che vanno e vengono con i loro carichi di monnezza e con rumori molesti di carico e scarico. Pisticci Scalo puzza. I residenti parlano di circa 300 camion al giorno e si lamentano dell’aria malsana, al sapore di zolfo. Ma accanto a chi ha il coraggio di protestare e di chiedere di meglio, ci sono anche quelli che si arrendono e si accontentano: la Tecnoparco porta lavoro e l’aria puzzolente è il prezzo da pagare.
Ma qualcosa si deve fare e così la soluzione proposta dal senatore Massimo Mucchetti del Pd, presidente della X Commissione industria, commercio, turismo del Senato in visita in Basilicata a luglio è stata quella di spostare il paese intero, lontano dalle puzze e dai veleni e di semplicemente reiniettare la monnezza tale e quale sottoterra. Dopotutto, dice il senatore Mucchetti, Pisticci Scalo è piccola e non grande come il quartiere Tamburi a Taranto, quello dell’Ilva.
Multe, condanne, rimedi, scuse? Niente di tutto ciò. Un po’ di titoli di giornale, promesse non mantenute, e si comincia da capo. La Regione Basilicata a volte registra i valori di inquinanti, altre volte i dati sono “n.d.”, non disponibili. Evviva.
Ecco, questo che quello che resta di cotanta speranza petrolifera. L’aria malata ma sopratutto le coscienze malate. Il pensare che si muore di monnezza o di fame, la resa totale di un paesino a poteri troppo più grandi, senza che nessuno sappia far valere la democrazia, quella vera, dove le regole si rispettano e nessuno è al disopra del bene comune.