Evidentemente, il divorzio breve è una di quelle riforme “indesiderate e/o divisive” che non si vuole fare. Dopo l’approvazione alla Camera a fine maggio, e dopo che da mesi il ddl giaceva in Commissione Senato – riduzione dei tempi di separazione dai 3 anni a 6 mesi nel caso di una consensuale, e da 3 a 1 in caso di separazione giudiziale – nonostante la determinante convergenza politica dei vari gruppi a favore del testo che avrebbe potuto essere votato velocemente, il provvedimento ieri è stato ritirato. Proprio dal Pd, su richiesta del governo, per mano della senatrice Rosanna Filippin.
“Alla faccia degli impegni assunti nei confronti dei cittadini!” ha commentato il capogruppo Commissione giustizia al Senato, Enrico Cappelletti, M5S, che ha diffuso una nota in cui spiegava tecnicamente il blocco e successivo ritiro del provvedimento per mezzo di un vecchio espediente: “Il governo annuncia un proprio emendamento – ddl, emendamento, decreto legge – l’annuncio, ai sensi del Regolamento, permette di sospendere i lavori; e mentre si attende il contributo, che a volte arriva tardi, a volte mai, si perde tempo, e non si arriva mai al dunque. Avviene quotidianamente – ha proseguito Cappelletti – che il Pd si dichiari pubblicamente favorevole ad un provvedimento, salvo poi ritirarlo o modificarlo sostanzialmente al momento della sua adozione. Questo passo indietro del Pd è un’ingiustificata marcia indietro. Evidentemente l’introduzione del divorzio breve nel nostro Paese imbarazza il governo che si sostiene grazie alla Ncd di Giovanardi”.
Intanto, per capire quanta rabbia e delusione c’è in chi aspettava questa riforma, basta andare a leggere i commenti nel gruppo Facebook Divorzio Breve: “Io lo sapevo! Ci avrei scommesso la casa!”, scrive un utente. Gli fa eco un altro: “Quale governo e quale Stato che si dice civile, alimenta un turismo all’estero per cercare ciò che il governo dovrebbe dare ai propri cittadini? Si alimenta una macchina assurda che sa di truffa legalizzata”, scrive Giuseppina riferendosi alla possibilità di ottenere il divorzio in un Paese dell’Unione europea. E Andrea con amarezza: “La politica come le Ferrovie dello Stato: i regionali emarginati e in balìa di ritardi mentre gli investimenti fatti per i treni superveloci. E ora non puoi neanche più andare da Roma a Bologna in regionale. Il Paese dei favoriti! Sarà la sua fine definitiva”.
A questo punto, per dare un contributo costruttivo al problema, si potrebbe proporre una iniziativa-evento, una sorta di provocazione dimostrativa di massa. Lanciare un crowdfunding per tutti quelli che da anni aspettano la legge italiana che non arriva, e finanziare così un soggiorno in una data unica, e andare tutti insieme a divorziare in uno dei Paesi d’Europa che lo permette in tempi brevi. Parafrasando il famoso claim della pubblicità di una nota agenzia di viaggi: diritti fai da te? Certo che sì. A volte la via più lunga, se non ha troppi incroci, può diventare la più breve.