La spesa complessiva per il gasdotto che dalla Russia dovrebbe raggiungere l'Europa centrale aggirando l'Ucraina è salita a 23,5 miliardi di euro. E per Gazprom ottenere finanziamenti dalle banche occidentali è diventato più difficile. Il Cane a sei zampe, socio al 20% del consorzio che deve realizzarlo, potrebbe decidere di uscire invocando il mancato rispetto di alcune clausole previste dal contratto
Parlando delle sorti del gasdotto South Stream in Serbia, prima di sbarcare al vertice Asem a Milano, Vladimir Putin ha usato toni scherzosi. “South Stream non può essere realizzato in modo unilaterale”, ha detto. “È come in amore, si può essere felici solo se si è in due”. Eppure in Europa, con l’inverno alle porte, la battuta non fa ridere affatto. La dichiarazione del vice amministratore delegato di Gazprom Aleksandr Medvedev arrivata poco dopo l’incontro tra Putin e Petro Poroshenko e i colloqui sul gas a Milano conferma infatti che c’è da preoccuparsi. Medvedev ha detto che “non esclude” un deficit di gas nei serbatoi sotterranei in Europa, сausa la mancata decisione dell’Ue sull’accesso della Russia al gasdotto Opal, il raccordo tra il Nord Stream e i mercati centroeuropei.
Mentre la Russia continua a opporsi ai veti europei posti sui suoi gasdotti a causa del Terzo pacchetto Energia, che vieta a chi produce gas di essere proprietario anche del sistema di trasporto (per Putin “le lungaggini” sono dovute a “considerazioni politiche”), il gasdotto che dalla Russia dovrebbe raggiungere l’Europa centrale aggirando l’Ucraina rischia di finire su un binario morto per motivi di carattere prettamente economico. All’inizio di questa settimana una fonte di Gazprom ha riferito all’agenzia Interfax che la scadenza per trovare il finanziamento per il progetto, fissata entro la fine del 2014, slitta. La joint venture South Stream Transport Ag, partecipata del colosso russo dell’energia (50%), dall’Eni (20%), dalla tedesca Wintershall Holding e dalla francese Edf (queste ultime con una quota del 15%) e responsabile della costruzione della tratta offshore, ha rinviato la ricerca dei fondi fino al primo trimestre del 2015. Secondo il recente annuncio di Gazprom, la parte offshore del gasdotto che dovrà collegare la città russa di Anapa sul Mar Nero con la Bulgaria dovrebbe costare 14 miliardi di euro, mentre la parte europea (che dovrebbe arrivare fino all’Austria) avrà un costo di 9,5 miliardi di euro. La spesa complessiva del progetto ammonterebbe quindi a 23,5 miliardi di euro, invece dei 22,3 inizialmente previsti. Prima dell’entrata in vigore delle sanzioni occidentali, Gazprom sperava di ottenere il project financing in Europa. L’impatto delle sanzioni ha però frenato la ricerca dei fondi: il 12 settembre sia gli Usa sia la Ue hanno imposto limitazioni ai prestiti per Gazprom da parte delle proprie banche. Per gli Stati Uniti la scadenza del prestito non può superare 90 giorni, mentre per l’Europa dovrebbe limitarsi a 30 giorni.
La relazione di bilancio per il primo semestre del 2014 pubblicata dal colosso energetico russo il 12 ottobre svela che la crisi ucraina non è stata indolore per la compagnia. Il profitto netto di Gazprom è calato del 21,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, scendendo a 465,2 miliardi di rubli (circa 8,9 miliardi di euro). Sempre in questi giorni un dirigente di Gazprom, Aleksandr Ivannikov, ha dichiarato di non escludere che, se la situazione continuasse ad evolvere in senso negativo, si potrebbe profilare la possibilità di utilizzare i dividendi del 2014 per le necessità dell’azienda. L’ultima volta che il governo (la quota dello Stato nell’azienda è pari al 38,37%) aveva autorizzato una decisione simile risale al 2008.
In cerca dei finanziamenti necessari per il gasdotto South Stream, voluto da Putin sette anni fa per aggirare l’Ucraina, la Russia rivolge l’attenzione alla Cina. Durante la recente visita del premier cinese Li Keqiang a Mosca l’amministratore delegato di Gazprom Aleksei Miller ha discusso con il suo collega dell’Industrial and commercial bank of China (ICBC) in merito alla possibilità di emettere obbligazioni in yuan e introdurre un sistema di pagamenti rublo-yuan.
Ovviamente Eni sta monitorando la situazione. Sono lontani i tempi in cui, con la Russia, l’azienda italiana era la principale promotrice del progetto. Ora, con la crisi ucraina e le difficoltà economiche di Gazprom, sembra voler tenere un basso profilo. Nonostante il Cane a sei zampe abbia interessi nel progetto – Saipem, la sua controllata, si è aggiudicata un contratto da 2 miliardi di euro per la costruzione della prima linea della tratta offshore del gasdotto – le nubi sul finanziamento destano preoccupazioni. Comunque sia, Eni potrebbe sempre svincolarsi dal progetto, qualora non si finanziasse da solo. Infatti la decisione finale di investimento per il tratto offshore del gasdotto, raggiunta il 14 novembre del 2012 a San Donato Milanese, prevede che gli azionisti di minoranza possano ritirarsi nel caso in cui alcune condizioni, tra cui appunto il finanziamento senza garanzie da parte loro, non risultino soddisfatte.