I sette componenti della commissione Grandi Rischi vanno assolti perché non c’è un nesso tra quella riunione del 31 marzo 2009 e la morte di 309 persone e la devastazione dell’Aquila che un terremoto di magnitudo 6,3 provocò nelle prime ore del 6 aprile. E semmai la responsabilità sulla rassicurazione dei cittadini è dei giornali che causarono un “cortocircuito mediatico”. E’ la tesi dell’avvocatura dello Stato nel processo d’appello che vede imputati tecnici e scienziati che costituivano la commissione Grandi rischi. Per tutti e sette i legali Carlo Sica e Massimo Giannuzzi hanno chiesto alla corte che cadano le accuse di omicidio colposo e lesioni personali colpose. Tutto il contrario di quanto ha chiesto il procuratore generale Romolo Como (che ha proposto la conferma della pena a 6 anni) e gli avvocati di parte civile, in particolare Wania Della Vigna che assiste i familiari di alcune vittime nel crollo della Casa dello Studente, in particolare i parenti di Hussein “Michelone” Hamade.
Gli imputati, tutti scienziati ed ex vertici della Protezione Civile nazionale, parteciparono il 31 marzo 2009, cinque giorni prima del terremoto che devastò L’Aquila a una riunione al termine della quale rassicurarono i cittadini, sottovalutando – secondo l’accusa – il rischio sismico e innescando nella gente il cambio delle normali abitudini, come uscire di casa dopo scosse forti. Sotto accusa – condannati in primo grado per omicidio colposo e lesioni personali colpose – sono l’ex vice della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, l’ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Enzo Boschi, Franco Barberi, all’epoca presidente vicario della Commissione Grandi rischi, Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto “Case”, Claudio Eva, ordinario di Fisica all’Università di Genova, e Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico di Protezione civile.
L’Avvocatura dello Stato ha chiesto l’assoluzione o “perché il fatto non sussiste” o “perché il fatto non costituisce reato” per i 7 componenti della Commissione Grandi Rischi, condannati in primo grado a 6 anni con l’accusa di aver fornito false rassicurazioni alla popolazione 5 giorni prima del sisma in Abruzzo del 2009 che ha causato la morte di 309 persone e devastato L’Aquila. Con l’intervento dell’avvocato di parte civile Wania Della Vigna ieri 17 ottobre era cominciata la seconda udienza del processo d’appello. Nella precedente udienza il procuratore generale Romolo Como aveva chiesto la conferma della pena a 6 anni di reclusione inflitta in primo grado ai 7 esperti della commissione, organo scientifico consultivo della presidenza del Consiglio. “Nessuno ha detto: state tranquilli perché non ci sarà un terremoto – spiega l’avvocato Carlo Sica – E se anche fosse stato detto, manca il passo successivo, ossia non c’è stata la comunicazione alla popolazione”.
Anzi, di più: è colpa dei giornali. “C’è stato un corto circuito mediatico con le dichiarazioni di De Bernardinis prima della riunione inserite in un articolo sul post-riunione” aggiunge l’altro legale Massimo Giannuzzi che così ha attribuito agli organi di informazione le responsabilità sulla rassicurazione dei cittadini. “Non esiste un nesso causale tra l’esito della riunione e il comportamento delle persone perché la riunione e i suoi contenuti erano privati, non pubblici” ha spiegato il legale. Sica ha ricalcato alcuni argomenti di cui aveva parlato due anni fa nell’arringa al processo di primo grado. “Il dolore non può essere dimenticato ma non sono d’accordo con la causa di quel dolore – ha detto – La causa di quelle morti è una causa fatale, il terremoto non è prevedibile”. L’avvocato ha anche sottolineato l’impegno dello Stato nella ricostruzione post-sisma del capoluogo abruzzese. “Lo Stato si sta impegnando per la ricostruzione dell’Aquila, nei prossimi sei anni arriveranno molti fondi in questa città”.