Un rischio intrinseco alla ricerca è la difficoltà di conoscere in anticipo quale percorso esplorativo sarà più fruttuoso, o chi fra i ricercatori farà per primo un importante passo avanti: in generale, molte innovazioni provengono da ricercatori che fino alla scoperta erano dei “normali” professionisti del campo. La gestione del rischio nella ricerca è quindi un compito fondamentale per le agenzie di finanziamento. Una questione cruciale in quest’ambito è se sia più efficiente distribuire grandi contributi a una piccola élite di ricercatori, o sovvenzioni relativamente più piccole a molti ricercatori. Un recente studio suggerisce che i finanziamenti più grandi non portano a scoperte più importanti, e quindi che le strategie di finanziamento più efficaci dovrebbero prefiggersi come obiettivo la diversificazione, finanziando tanti gruppi, piuttosto che puntare a finanziare pochi gruppi.
Tuttavia, a livello europeo, il finanziamento della ricerca di base ha preso la strada opposta, premiando solo il 5-10 per cento degli scienziati che ne fanno richiesta. Questo crea diversi problemi. In primo luogo, quando ci sono così pochi vincitori, le decisioni vengono prese cercando di minimizzare il rischio e difficilmente premiano progetti innovativi, che per la loro natura esplorano argomenti di nicchia e quindi sono più suscettibili alla critica. In secondo luogo, solo ricercatori già molto noti possono sperare di avere i loro progetti selezionati: si viene così a creare un effetto “San Matteo” per cui i ricchi diventano più ricchi e i poveri sempre più poveri. In terzo luogo, oggigiorno la scrittura, il controllo e l’amministrazione dei finanziamenti assorbe tanto tempo e fatica da parte degli scienziati: alto tasso di insuccesso dei progetti di ricerca implicano uno spreco enorme di risorse.
In quarto luogo, a livello europeo, una tale strategia di finanziamento favorisce fortemente quei paesi del Nord Europa in cui la politica di ricerca è ben strutturata e finanziata. Di contro i paesi dell’Europa meridionale, come Spagna, Portogallo, Grecia e Italia, in cui le fonti nazionali di finanziamento alla ricerca sono quasi scomparse e i bilanci universitari e di ricerca sono spesi in stipendi e infrastrutture, le fonti di finanziamento europee rappresentano quasi l’unica possibilità per trovare un supporto alla ricerca. In questa situazione, il meccanismo di finanziamento della ricerca a livello Europeo è diventato di fatto uno strumento di trasferimento di fondi e risorse umane dal sud al nord dell’Europa, aumentando di fatto le divisioni scientifiche, tecnologiche, economiche e sociali tra gli Stati membri della Comunità Europea. Molti giovani ricercatori dell’Europa meridionale in questa situazione, se non riescono a trasferirsi ne Nord Europa, sono costretti a lasciare la ricerca andando a ingrossare le file di quella che si chiama ‘generazione perduta‘ che ha sola possibilità di accettare lavori non qualificati. I responsabili politici dell’Ue si dovrebbero chiedere se il fatto di aver fatto studi avanzati possa essere una accettabile causa di disoccupazione, e se l’Unione Europa può avere un futuro unitario quando molti Stati membri stanno abbandonando ogni speranza di diventare tecnologicamente competitivi.
Per cambiare la politica di ricerca e innovazione, sia a livello europeo che a livello dei singoli paesi si possono attuare alcuni cambiamenti. Da un punto di vista più concettuale il vero problema è quello di finanziare l’eccellenza futura e non quella che si è già affermata. Per far ciò è necessario considerare che ci sono diversi tipi di qualità scientifica, e che la ricorsa di una unica idea di eccellenza non è altro che perdersi dietro un dogma ideologico e irrealistico. La selezione dei progetti di ricerca caratterizzati da un pensiero creativo e da idee innovative devono passare attraverso la comprensione che la scienza è un processo sociale e che bisogna avere il coraggio di rischiare di avventurarsi in percorsi nuovi che magari non condurranno da nessuna parte.
Da un punto di vista più politico vi sono alcune misure immediate che possono essere considerate per aumentare il finanziamento alla ricerca dandogli un nuovo impulso, sia a livello nazionale che comunitario. Queste includono: un equilibrio regionale della distribuzione dei fondi tra gli Stati membri; incoraggiare la spesa in ricerca e sviluppo rimuovendola dal calcolo del deficit. Inoltre si può pensare di imporre agli Stati una sorta di una quota minima di spesa in ricerca e sviluppo: che il consolidamento fiscale sia scritto nelle Costituzioni di Italia, Spagna e Grecia, mentre l’obiettivo di destinare il 3 per cento del Pil in ricerca e sviluppo previsto dalla Strategia di Lisbona, rimane un’aspirazione vuota, ci dice molto circa la considerazione della ricerca nelle attuali priorità politiche del continente. Il punto più importante è però che gli scienziati debbano partecipare al dibattito pubblico sulla politica dell’Europa in materia di finanziamento della ricerca e della sua distribuzione, e più in genere sulle politiche economiche. Senza innovazione non c’è futuro; la ricerca è l’avvenire: questi sono gli slogan usati dai colleghi francesi nella loro marcia per la scienza. Questi devono diventare gli obiettivi politici da perseguire per uscire dalla devastante crisi in cui ci ritroviamo.