Un gruppo di ragazzi si aggira, eccitatissimo, in aeroporto. Agitati e felici, sventolano increduli i loro biglietti. Sono forse studenti Erasmus in partenza per l’Europa? Macché. Altro che università, oggi è tempo di home visit, è tempo di formare la squadra per i live. Ed eccoli, i “gruppi vocali”, gli “under uomini”, gli “over” e le “under donne”, le nuove categorie sociologiche dell’Italia post-tutto, pronti per partire con i quattro nuovi giudici di X Factor, Fedez, Morgan, Victoria e Mika, i Giovani-che-ce-l’hanno-fatta, i Giovani-Famosi-Solo-Perché-Bravi, ultimo residuo utopico nel paese che i giovani li maltratta, li brutalizza, li lascia ai margini senza speranze.
Con X factor non devi pagare migliaia di euro per tasse universitarie cresciute proporzionalmente alla svalutazione dei titoli, coltivando un talento che verrà calpestato. A X Factor ti viene a prendere un van, per portarti nella location dell’home visit, quella dove non potresti andare perché sei disoccupato e senza una lira. Così voli a Londra, Vienna, Milano o nell’isola di Mothia, in Sicilia, e ti esibisci – tu ragazzo italiano cresciuto sapendo di non avere diritto a un tozzo di pane – nel Koko club, il tempo londinese della musica live, oppure al Kursalon, capolavoro dell’architettura asburgica, magari accompagnato dal New Quartet, oppure dal maestro Marco Sabiu o dalle Charleston, e finalmente giudicato – sì proprio tu – da Eugenio Finardi, Elio, Sir Bob Cornelius Rifo, Raphael Gualazzi. E infatti eccoli, i Prescelti degli home, spalancare gli occhi di fronte alle saline siciliane che non hanno mai visto o alle piazze viennesi guardate al massimo dal web.
Ringraziano, si scusano – “lo so che ho 28 anni e ho cominciato tardi” -, fanno il possibile, e l’impossibile, per meritarsi l’assurda fortuna di essere lì. Quella possibilità che sola – non la politica, non il lavoro, non lo studio – può cambiare la loro esistenza. “Voglio entrare con X Factor con Mika/per crescere tanto nella mia vita/ho sudato tanto/voglio ciò che è mio/corro dietro al mio sogno anche io”, canta spudorato , e forse disperato, il rapper Diluvio di fronte a Mika, che poi lo prenderà nell’olimpo dei prescelti. C’è stupore, sentimento ormai scomparso, per tutto quel ben di dio inaspettato e preparato per loro, e per le parole dei giudici. Che invitano, è la nuova fantasia al potere anni duemila, a “cercare di dimostrare la tua anima, la tua follia, il tuo sogno”, “a sacrificare la norma all’immaginazione”, a portare “modernità, eccellenza, cultura musicale, provocare sogni”, mentre là fuori se hai un sogno sei fregato. Poi basta un “sei troppo giovane”, o “non è ancora il tuo momento” a innescare la Tragedia, perché sopravvivere dopo può essere peggio. Ma per gli eletti non c’è spazio per il dramma: “Mi sento come Balotelli dopo il gol sulla Germania”, oppure, semplicemente, “sono felice, cazzo, come non mai”. E a casa chi guarda è sempre più numeroso (oltre un milione, 50% in più dell’edizione passata). Giovani e vecchi, non importa, attratti da una retorica del talento gonfiata dalla macchina televisiva, eppure concreta: i talk show parlano di disoccupazione, X Factor crea occupazione. C’è da riflettere.
Il Fatto Quotidiano, 19 ottobre 2014