Nel concistoro sul Medio Oriente il pontefice condanna le atrocità commesse dai fondamentalisti. Il segretario di Stato vaticano va oltre, parlando di "violazioni dei diritti umani più elementari" da parte del "gruppo denominatosi Stato Islamico, che adotta metodi terroristici per tentare di espandere il suo potere: uccisioni di massa, decapitazioni di chi la pensa diversamente, vendita di donne al mercato, arruolamento di bambini nei combattimenti"
“Assistiamo a un fenomeno di terrorismo di dimensioni prima inimmaginabili”. Non ha usato parole di circostanza Papa Francesco nel concistoro sul Medio Oriente, da lui convocato subito dopo le due settimane del Sinodo dei vescovi sulla famiglia che si è svolto in Vaticano, per condannare le atrocità commesse dai fondamentalisti dell’Isis. “Non possiamo rassegnarci – ha affermato Bergoglio – a pensare al Medio Oriente senza i cristiani, che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù. Gli ultimi avvenimenti, soprattutto in Iraq e in Siria, sono molto preoccupanti. Tanti nostri fratelli sono perseguitati e hanno dovuto lasciare le loro case anche in maniera brutale. Sembra che si sia persa la consapevolezza del valore della vita umana, sembra che la persona non conti e si possa sacrificare ad altri interessi. E tutto ciò, purtroppo, nell’indifferenza di tanti”. Una situazione che per Francesco “richiede un’adeguata risposta anche da parte della Comunità internazionale”.
All’esame dei cardinali presenti al concistoro sul Medio Oriente la lunga relazione tenuta dal Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, che ha usato parole molto più dure di condanna per l’Isis rispetto a quelle del Papa esprimendo “grande preoccupazione” per le “atrocità inaudite perpetrate da più parti della Regione, ma in particolare dai fondamentalisti del gruppo denominatosi Stato Islamico, un’entità che calpesta il diritto e adotta metodi terroristici per tentare di espandere il suo potere: uccisioni di massa, decapitazioni di chi la pensa diversamente, vendita di donne al mercato, arruolamento di bambini nei combattimenti, distruzione dei luoghi di culto”. Il porporato ha espresso una condanna “chiara” di tali “violazioni non solo del diritto umanitario internazionale ma dei diritti umani più elementari”, riaffermando che “il diritto dei profughi di fare ritorno e di vivere in dignità e sicurezza nel proprio Paese e nel proprio ambiente”. Un diritto che per Parolin deve essere “sostenuto e garantito tanto dalla Comunità internazionale quanto dagli Stati, di cui le persone sfollate o profughe sono cittadini”.
Il Segretario di Stato ha evidenziato che alla lunga crisi siriana e all’instabilità irachena, aggravatesi negli ultimi mesi, si sono aggiunti “altri scenari politici assai complessi”. Per il porporato, infatti, “risulta sempre più chiaro che i conflitti che si vivono nella Regione costituiscono una delle più serie minacce alla stabilità internazionale così come i conflitti che avvengono in altri luoghi hanno anche un influsso diretto sul Medio Oriente”. La pace va dunque “cercata non con scelte unilaterali imposte con la forza, ma tramite il dialogo che porti a una soluzione ‘regionale’ e comprensiva, la quale non deve trascurare gli interessi di nessuna delle parti”. In particolare Parolin ha sottolineato “la necessità e l’urgenza di favorire una soluzione politica, giusta e duratura, al conflitto israelo-palestinese come un contributo decisivo per la pace nella Regione e per la stabilizzazione dell’area intera”. Speranze di pace che si erano aperte con la visita del Papa in Terra Santa, nel maggio scorso, e con l’incontro di preghiera in Vaticano, svoltosi due settimane dopo il viaggio di Bergoglio, con Shimon Peres e Abu Mazen.
La posizione della Santa Sede, ribadita da Francesco al ritorno dalla Corea del Sud, non cambia: “È lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre, però, nel rispetto del diritto internazionale”. Tuttavia, come ha precisato Parolin, “non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare. Esso va affrontato più approfonditamente a partire dalle cause che ne sono all’origine e vengono sfruttate dall’ideologia fondamentalista. Per quanto riguarda il cosiddetto Stato Islamico, va prestata attenzione anche alle fonti che sostengono le sue attività terroristiche attraverso un più o meno chiaro appoggio politico, nonché tramite il commercio illegale di petrolio e la fornitura di armi e di tecnologia”. Per Parolin “i cristiani collaborando con gli appartenenti ad altre religioni, soprattutto con i musulmani, sono chiamati a essere artefici di pace e di riconciliazione, senza cedere alla tentazione di cercare di farsi tutelare o proteggere dalle autorità politiche o militari di turno per ‘garantire’ la propria sopravvivenza, devono offrire un contributo insostituibile alle rispettive società che si trovano in un processo di trasformazione verso la modernità, la democrazia, lo stato di diritto e il pluralismo”. Per questo il porporato ha sottolineato l’importanza dell’azione dei fedeli laici nella vita sociale e politica e la necessità di una loro adeguata formazione anche per quanto riguarda la dottrina sociale cattolica.
Il Segretario di Stato ha ribadito con forza che “la Chiesa non può rimanere in silenzio di fronte alle persecuzioni sofferte dai suoi figli e da tante persone innocenti” per questo sono necessarie “azioni umanitarie concrete”. Un ruolo “fondamentale” è quello che “possono e devono” svolgere i leader religiosi ebrei, cristiani e musulmani “per favorire sia il dialogo interreligioso e interculturale che l’educazione alla reciproca comprensione. Inoltre, essi devono denunciare chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza”. Il Segretario di Stato ha sottolineato che per il “cosiddetto Stato Islamico una responsabilità particolare ricade sui leader musulmani non soltanto per sconfessarne la pretesa di denominarsi ‘Stato Islamico’ e di formare un califfato, ma anche per condannare più in genere l’uccisione dell’altro per ragioni religiose e ogni tipo di discriminazione”.
Per Parolin anche “la Comunità internazionale non può rimanere inerte o indifferente di fronte alla drammatica situazione attuale e sembra che ci siano voluti dei fatti così tragici, come quelli a cui abbiamo assistito in questi ultimi mesi per richiamarne l’attenzione. Di fronte alle sfide che si presentano, essa deve andare alla radice dei problemi, riconoscere anche gli errori del passato e cercare di favorire un avvenire di pace e di sviluppo per la Regione mettendo al centro il bene della persona e il bene comune”. Per il Segretario di Stato “il primo passo urgente per il bene della popolazione della Siria, dell’Iraq, e di tutto il Medio Oriente è quello di deporre le armi e di dialogare. La distruzione di città e villaggi, l’uccisione di civili innocenti, di donne e bambini, di giovani reclutati o forzati a combattere, la separazione di famiglie, ci dicono che è un obbligo morale di tutti dire basta a tanta sofferenza e ingiustizia e cominciare un nuovo cammino in cui tutti partecipino con uguali diritti e doveri come cittadini impegnati nella costruzione del bene comune, nel rispetto delle differenze e nella valorizzazione del contributo di ciascuno. Nel caso specifico delle violazioni e degli abusi commessi dal cosiddetto Stato Islamico la Comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite e le strutture che si sono date per simili emergenze, dovrà agire per prevenire possibili e nuovi genocidi e per assistere i numerosi rifugiati”.
Twitter: @FrancescoGrana