Come spiega Paolo Pastore, storico direttore di Fairtrade Italia “Non si tratta di ‘un atto di bontà’ ma di scelte di consumo sano, giusto e ‘politico’: il gesto di consumo può cambiare le relazioni economiche a livello mondiale”. Con le scelte quotidiane, anche apparentemente piccole, ognuno di noi può fare la differenza: migliorano l’ambiente e aiutano le persone a costruire un futuro migliore, penalizzare le aziende meno responsabili.
Paolo, che conosco bene da oltre 10 anni, la differenza l’ha fatta come manager: dalla grande distribuzione organizzata al fortunato (per lui e per molti) “cambio vita” come Direttore Fairtrade.
La missione. Fairtrade è il marchio etico più conosciuto al mondo (Altromercato è l’altra sigla storica) con la missione di contribuire all’emancipazione e allo sviluppo di agricoltori e lavoratori di Asia, Africa e America Latina coinvolti nelle coltivazioni di prodotti quali banane, cacao, caffè, tè e molto altro.
L’impatto sociale. Grazie a Fairtrade nel 2013 1,4 milioni di produttori e persone in 74 paesi del mondo hanno ottenuto migliori condizioni di lavoro con il pagamento di un prezzo equo e di un margine per avviare progetti sociali (Fairtrade premium).
La distribuzione. I prodotti Fairtrade sono commercializzati in oltre 120 paesi del mondo e il valore del venduto globale corrisponde a 5,5 miliardi di euro (dato 2013, +15% sull’anno precedente). Scarica il rapporto annuale Internazionale 2013.
In Italia i numeri sono in forte aumento: il valore del venduto nel 2013 è stato pari a 76,3 milioni di euro (+16,7% sul 2012). Esistono più di 600 tipologie diverse di prodotti commercializzati in più di 5000 negozi di tutto il territorio italiano e nelle catene della Gdo (Coop, Conad, Carrefour, Auchan, Despar, Bennet, Pam Panorama e altre), in caffetterie, negozi al dettaglio, bar, hotel, mense e negozi del biologico. Il prodotto Fairtrade più venduto in Italia continuano ad essere le banane, che aumentano complessivamente del +8%, sfiorando le 9.000 tonnellate. Il caffè, +15% che raggiunge le 550 tonnellate (caffè verde).
Tuttavia i dati comparati danno il Fairtrade in Italia ancora marginale: 1% contro 20-25% di paesi più avanzati come Uk, Germania, Svizzera. Per capirci meglio: 1 banana su 2 venduta in Svizzera è Fairtrade, 1 su 4 in Gran Bretagna, solo 1 su 100 in Italia -ma è il 50% sul totale delle Banane ‘biologiche-. (Dati Fairtrade Italia).
Ma come si spiegano i bassi volumi italiani?
Paolo Pastore: “Siamo un paese produttore di molte cose, tra cui la frutta ed il vino. In Germania e Inghilterra si vendono 3 mln di litri di vino Fairtrade, in Italia non avrebbe molto mercato un Merlot Argentino anche se ‘fair’. Inoltre, (nel bene e nel male) mancano grandi catene tipo Starbuchks – una frammentazione commerciale che non favorisce accordi distributivi’.Ma soprattutto, ed è questo il vero limite- conclude Pastore – ‘L’Italia non ha ancora fatto il cambio di mentalità sul considerare il fair trade non tanto ‘un atto di bontà’ ma un consumo sano, giusto e ‘politico’, con la consapevolezza della potenza del gesto di consumo per cambiare le relazioni economiche“.
Quali sono i principali ‘nodi’ del fairtrade?
Oltre alle polemiche sulla distribuzione (Botteghe o Supermercati?) ci sono altri fronti:
I rapporti con le multinazionali. A livello internazionale grossi brand quali Starbucks, Cadbury, Mars, Nestlé, Ferrero, hanno scelto di lavorare con il circuito Fairtrade per assicurare (almeno in parte) l’eticità delle filiere di produzione. Su queste ‘relazioni pericolose’ è aperto il dibattito internazionale: secondo molti non è giusto che aziende in alcuni casi quantomeno ‘discutibili’ possano fare una sorta di ‘social washing’. Per altri quello che conta di più è aiutare i produttori a lavorare e vendere molto, molto di più.
Sociologia dei consumi: un po’ allarmante sembra la dichiarazione di uno dei principali sociologi dei consumi italiani, Vanni Codeluppi, secondo cui nella rivoluzione dei Makers e della personalizzazione dei consumi, lo sconfitto sarà proprio “Il consumo etico, che aumenterà in volumi e diffusione ma non diventerà un fenomeno tale da cambiare le nostre società” (DLui,Novembre 2014, pag 76).
E allora diamoci più da fare: “Con la tua pausa caffè (e le banane, e il cacao, e tanto altro) puoi cambiare il mondo” come recita uno degli slogan della campagna, e allora… riprendiamoci il consumo (fair)!
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