Tutto regolare. La tutela è “incisiva e sicura”, per cui la legge non va modificata. Per la Corte costituzionale le discusse norme del Codice delle assicurazioni sui risarcimenti dovuti dalle compagnie a chi ha subito una lesione micropermanente per colpa di un incidente stradale non sono in contrasto con la Carta. Tanto più che garantiscono perfettamente gli opposti interessi del danneggiato ad essere risarcito e della collettività a pagare premi Rc auto “accettabili e sostenibili“. Ad affermarlo è l’ampia sentenza numero 235 depositata dopo anni di attesa il 16 ottobre scorso dall’organo di garanzia presieduto da Giuseppe Tesauro.
Quattro ordinanze emesse dai Giudici di pace di Torino e Recanati e dai Tribunali di Brindisi e Tivoli avevano chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla legittimità dell’articolo 139 del Codice, modificato nel 2012 dal governo di Mario Monti. I dubbi sollevati dai giudici riguardavano in particolare quattro aspetti: l’eventuale contrasto con gli articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che prevedono il diritto a un processo equo e all’integrità della persona, il rischio di una disparità di trattamento tra chi ha subìto un sinistro stradale e chi si è procurato lesioni in un altro modo, l’eccessiva rigidità delle tabelle risarcitorie con cui si calcola il danno e la mancata previsione del danno morale. Ebbene, per la Corte tutte le eccezioni di costituzionalità vanno respinte.
Il presupposto? “Il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico” va “condotto non già assumendo il diritto all’integralità del risarcimento del danno alla persona come un valore assoluto e intangibile“, bensì “bilanciandolo” con altri valori. In particolare “l’interesse generale e sociale degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi”. Tutto questo “in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici e nel quale l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi – la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza“.
Un sillogismo che fa storcere qualche naso. “Per la Corte le assicurazioni sono delle imprese votate alla solidarietà sociale e può operarsi un bilanciamento tra i loro interessi economici ed i diritti fondamentali delle persone – commenta l’avvocato Marco Bona, esperto di responsabilità civile e risarcimento danni – Il tutto perché altrimenti aumenterebbero i premi, cosa che peraltro hanno continuato a fare in tutti questi anni continuando a ricevere regali di ogni sorta e tipo”. E ancora. “Il principio è assurdo – aggiunge – Se un soggetto deve pagare un danno ma può minacciare ritorsioni nella forma di un aumento di premi o di un incremento dei costi dei servizi allora ha diritto a pagare di meno. Altra assurdità è che il responsabile civile, chi ha prodotto il danno, non può vantare queste scuse. Ma allora perché deve beneficiare di questo sconto?”.
Riguardo al possibile contrasto con la Cedu nella sentenza si legge che il diritto all’equo processo non è pregiudicato in alcun modo. Quanto al merito, la possibilità per il giudice di aumentare l’importo del risarcimento fino a un quinto rispetto a quanto risulta dalle tabelle predefinite “lascia spazio per personalizzare” la riparazione “in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato”. Tanto basta, secondo la Corte, per demolire l’argomento dell’eccessiva rigidità del sistema.
Sulla disparità di trattamento, poi, i giudici delle leggi vedono la questione in maniera diametralmente opposta rispetto all’interpretazione che emerge dalle quattro ordinanze: chi è vittima di un incidente stradale è ai loro occhi quasi un privilegiato, nel senso che il sistema lo tutela in maniera “più incisiva e sicura rispetto a quella dei danneggiati in conseguenza di eventi diversi”. Infatti “solo i primi possono avvalersi della copertura assicurativa, ex lege obbligatoria, del danneggiante – o, in alternativa, direttamente di quella del proprio assicuratore – che si risolve in garanzia del risarcimento”.
Infine, vero è che nell’articolo 139 non c’è traccia del danno morale, ma a rimediare ci ha pensato la giurisprudenza: “Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ben chiarito come il cosiddetto “danno morale” − e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (…) «rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente»”. Quando il giudice ritenga che ci sia anche danno morale, dunque, basterà che decida di incrementare l’ammontare del danno biologico per quanto concesso dalla normativa (un quinto, appunto).
“La Corte – conclude Bona – ha ignorato del tutto ogni argomento addotto dalla dottrina “libera” e dagli avvocati del danneggiato cosí come dai giudice di pace che si sono rivolti ad essa. Ha sposato ciecamente ogni teoria portata avanti dagli avvocati delle assicurazioni. Una sentenza partigiana che sembra scritta direttamente da Ania e compagnie”.