I 23,6 milioni sborsati da Franco Stocchi nella cassaforte bresciana vicina a Giovanni Bazoli hanno tolto le castagne dal fuoco agli istituti creditori di Zaleski, fra cui principalmente Intesa e Unicredit
Che cosa ci fa il re Mida dei jeans in una finanziaria bresciana azionista della società biomedicale Sorin, di banche come Ubi e Intesa, del Corriere della Sera e del marchio Moncler? A Milano se lo stanno chiedendo in molti da quando a metà settembre, l’imprenditore di Urbania Franco Stocchi ha rilevato da Romain Zaleski il 15,3% di Mittel, la holding cara al presidente di Banca Intesa, che del finanziere franco polacco è amico da sempre. Difficile dirlo. Al momento l’unica certezza è che i 23,6 milioni sborsati da Stocchi nella cassaforte bresciana hanno tolto le castagne dal fuoco alle banche creditrici di Zaleski, fra cui principalmente Intesa e Unicredit.
Per l’imprenditore marchigiano, invece, l’operazione Mittel rappresenta una tipologia di investimento assolutamente inedita rispetto ad una storia personale da self-made man all’italiana. Emigrato da giovane per un breve periodo in Svizzera dove lavora come fresatore-tornitore, Stocchi mette in piedi in Italia la Sgm, società che produce telai in conto-terzi per la Benelli ed è oggi tra i fornitori della Tecnogym. La crisi di Benelli però spinge Stocchi a rivedere i suoi piani e l’arrivo nella Blue Valley italiana di marchi celebri nella produzione di jeans come Carrera indica la strada da percorrere. Tutto va a gonfie vele fino agli anni ’80 quando il settore dei jeans in Italia accusa il colpo della concorrenza straniera che sfrutta manodopera a basso costo nei Paesi mediterranei e balcanici. Stocchi però individua subito i vantaggi della delocalizzazione spostando parte della produzione all’estero. Nel ’97 crea assieme ai fratelli bolognesi Chionna il suo marchio, Jeckerson. Un’intuizione di successo che gli permette di fare il salto di qualità con un’azienda che ormai produce milioni di capi e fattura 48 milioni prima di essere ceduta nel 2008 ai fondi Stirling square capital (71%) e Sirius (29%) con un guadagno netto di 6 milioni.
Di qui un un tesoretto che la famiglia riesce a far fruttare soprattutto con la finanza. Stando al bilancio 2013 depositato nei giorni scorsi, oggi la holding di Stocchi, la Blue fashion group è infatti una cassaforte che custodisce 19 milioni di liquidità (quasi dimezzata rispetto al 2012) e ha chiuso lo scorso esercizio con 4 milioni di utili che vengono dalla gestione finanziaria (3,8 milioni) e dai guadagni netti da cessione titoli (1,4 milioni). Guardando oltre i numeri, nei bilanci delle aziende di Stocchi emerge però chiaramente il filo che unisce la famiglia al mondo delle banche che stanno finanziando con una trentina di milioni il percorso di diversificazione nel mattone intrapreso dal gruppo.
Escludendo la gestione finanziaria, le attività della Blue fashion group ruotano infatti attorno alle controllate immobiliari via Fara Properties, Compagnia d’Angely e Mami Duomo. La prima, proprietaria di uno edificio milanese e di un fabbricato industriale, è stata comprata lo scorso anno investendo poco più di 20 milioni di euro. Ha debiti per 8,27 milioni e ha chiuso l’esercizio in utile per circa 600mila euro. La seconda ha in pancia un immobile nel centro di Parigi in avenue Hoche, a pochi passi dall’arco di Trionfo. In questo caso, l’edificio è stato acquistato integralmente a debito (23,4 milioni) e la società, pur avendo 1,27 milioni di introiti, segna un lieve rosso (60mila euro). Risultato negativo (63mila euro) anche per la Mami Duomo, gestore di un portafoglio di immobili in centro a Milano con clienti importanti fra cui la stessa Mittel.
Il mattone, del resto, si sa, con i tempi che corrono non dà più le soddisfazioni di una volta. Per fortuna che Stocchi può contare sulla liquidità e su un consistente portafoglio titoli (41 milioni). Senza dimenticare però che di quella ricchezza fanno parte quasi sette milioni di crediti per interessi attivi maturati per il finanziamento da 21,8 milioni di euro erogato a favore del marchio di jeans Jeckerson al momento della vendita nel 2008. E poi ancora altri 11,8 milioni di euro in titoli convertibili sempre in azioni Jeckerson. Società che nel 2011 a fonte di una perdita di 6,65 milioni era stata però costretta a rinegoziare i debiti con le banche creditrici Unicredit e GE per lo sforamento dei covenants, i vincoli di bilancio fissati dalle banche per concedere i prestiti. La situazione del creditore di Stocchi non è migliorata l’anno successivo, l’ultimo di cui sono disponibili i bilanci, che si è chiuso con un rosso di oltre 30 milioni di euro.
Quanto al vecchio business del pret à porter, le cose non vanno più come una volta: la controllata Blue line Distribution Jenius è in fase di chiusura, mentre la Blue line Project, di cui la famiglia Stocchi ha il 60% e la lussemburghese HFX sa (Xenox private equity) il rimanente 40%, ha un indebitamento netto di 14 milioni con 44 milioni di debiti 26 dei quali nei confronti dei fornitori e 16,69 verso di Veneto banca. Lo scorso anno le cose non sono andate per il meglio (600mila euro di perdite su un fatturato da 86 milioni) perché il gruppo ha perso la commessa Jeckerson. Il management è corso ai ripari tentando la diversificazione produttiva e ha anche deciso di avvalersi dei contratti di solidarietà per rispondere temporaneamente alla crisi. Ma la strada per rilanciare Blue line Project non è in discesa. E Stocchi lo sa bene.
Per questo per il futuro l’imprenditore di Pesaro-Urbino conta su Mittel. Dall’operazione Stocchi ha già dichiarato di non attendersi sinergie con il mondo della moda. Ma piuttosto, come confidato a Il resto del Carlino del 19 settembre, ritorni grazie all’impegno della finanziaria in settori come “servizi e tecnologia”. E le banche? Magari con un ruolo nel salvataggio di Banca Marche? No, quella “non ci interessa. Del resto abbiamo già quote in Intesa e Ubi”, ha spiegato Stocchi che, in compenso, dovrà anche fare i conti con la ristrutturazione di Mittel. Nella cassaforte bresciana, come emerge dall’ultima semestrale, “permane limitata la prevedibilità di rettifiche di valore di poste dell’attivo patrimoniale”, cioè non sono escluse altre riduzioni del valore di asset dopo quella di 4 milioni dell’avviamento della Borghesi advisory, la società di consulenza comprata dall’ex ad della finanziaria bresciana, il banchiere Arnaldo Borghesi, per 8 milioni di euro.