Un rapporto del Consiglio generale di infermeria della Spagna elenca i fattori che hanno favorito il contagio dell'operatrice sanitaria. Tra le altre problematiche, il modo in cui è stato manipolato il cadavere, l'uso di calzature permeabile e lenti di protezione "che si appannano". L'Oms: "A gennaio sperimentazione vaccini sul campo"
Scarsa formazione del personale. Ma anche scarpe inadatte e sbagliata manipolazione del cadavere. Sta diventando più chiaro cosa abbia portato Teresa Romero a contrarre il virus Ebola, l’infermiera che ha assistito da volontaria il missionario rimpatriato e deceduto, Manuel Garcia Viejo. A dirlo è un rapporto presentato a Madrid dal Consiglio generale di infermeria della Spagna, organo regolatore dei 260.000 infermieri professionali, al termine di un’inchiesta alla quale hanno partecipato esperti sanitari, giuristi specialisti in salute del lavoro, diritto penale e deontologia professionale. Intanto, dall’ospedale fanno sapere che la donna è definitivamente guarita. L’infermiera è stata sottoposta a nuove analisi, dopo quelle che avevano dato risultato negativo, il 19 ottobre, e anche queste hanno confermato che la 44enne non ha più la malattia.
Il report segnala che gli infermieri destinati all’assistenza dei sospetti casi di Ebola “non hanno ricevuto formazione, allenamento e informazione adeguati alle circostanze e al lavoro che dovevano svolgere”. Le altre falle vanno dalle calzature permeabili usate dagli addetti all’unità di minaccia batteriologica, alla manipolazione dei contenitori di residui da parte dello stesso personale infermieristico. Negativo anche l’uso di antisettici spray per la disinfezione delle superfici, che “potevano generare porosità nelle tute di protezione”, fino alla manipolazione del cadavere della vittima, per la quale il protocollo non indicava nessun tipo di procedura. Altro errore segnalato dal rapporto, la mancata consultazione del personale sanitario nell’elaborazione degli stessi protocolli.
Tra le falle delle procedure adottate, che la Spagna dice di aver corretto, anche difficoltà nell’utilizzo di alcune attrezzature. Come la visione difficoltosa provocata dalle lenti di protezione “che si appannano continuamente”. Una problematica che era già stata segnalata da Medici Senza Frontiere in un’intervista rilasciata a ilfattoquotidiano.it a inizio agosto. “Nelle tute anche respirare è faticoso. E proprio come succede al mare, le nostre maschere dopo un po’ si annebbiano e non si riesce più a vedere correttamente – aveva raccontato Massimo Galeotti, 40 anni, infermiere di Msf – Quando hai addosso questa tuta il senso di soffocamento può avere il sopravvento e gettarti nel panico. Dopo cinque minuti senti le goccioline di sudore scendere dappertutto. Fa caldo. E devi anche muoverti lento, per evitare cadute accidentali che potrebbero esporti a un possibile contagio“.
Oms: “Entro gennaio al via sperimentazione vaccini sul campo”. Sul vaccino le notizie sono ancora incerte, ma “entro dicembre si saprà se, nella ricerca in corso di un possibile vaccino per Ebola, ci sono alcune sostanze utili allo scopo ed eventualmente a gennaio potrebbero cominciare le sperimentazioni sul campo”. Lo ha detto la dottoressa Marie Paule Kieny, assistente direttrice generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, affermando che i test clinici in programma in Europa, Africa e Stati Uniti sono spinti dai vari governi, che vogliono a breve un vaccino. Kieny ha anche dichiarato che se i vaccini saranno considerati sicuri, la sperimentazione di decine di migliaia di dosi potrebbe iniziare in Africa occidentale a gennaio. La portavoce dell’Oms Fadela Chaib ha inoltre promesso un’approfondita verifica dei passi falsi iniziali fatti dall’Oms in risposta all’epidemia che ha già ucciso più di 4.500 persone.