Cinema

Lilli Carati morta, dalla moda al porno. E una vita sfigurata dalla droga

L’attrice varesina si è spenta a soli 58 anni, dopo una vita dolorosissima, tra allori effimeri del soft porno e poi del porno tout court, dopo essere stata abbandonata da colleghi, pigmalioni e sfruttatori d’immagine. La freschezza e la bellezza di alcuni frammenti del film di Fernando Di Leo, Avere Vent'anni, le rendono quella giustizia forse mai ottenuta in vita. In una delle ultime interviste disse: "Il passato mi lascia indifferente"

di Davide Turrini

L’omaggio più vero per Lilli Carati sarebbe ricordarla in quel libero e spensierato ballo sui gradini di Piazza di Spagna assieme a Gloria Guida in Avere vent’anni. Oggi che l’attrice varesina si è spenta a soli 58 anni, dopo una vita dolorosissima passata tra droga e disintossicazione, tra allori effimeri del soft porno e poi del porno tout court, dopo essere stata abbandonata da colleghi, pigmalioni e sfruttatori d’immagine, la freschezza e la bellezza di alcuni frammenti del film di Fernando Di Leo le rendono quella giustizia forse mai ottenuta in vita.

Lilli Carati, vero nome Ileana Caverati, era nata a Varese il 23 settembre del ’56 da una famiglia di magliai ambulanti. Fin da ragazzina aveva trovato posto nel mondo della moda, frequentando una scuola di indossatrici, fino a quando a 19 anni finisce seconda a Miss Italia. Siamo nel 1974, ed il produttore Franco Cristaldi, seduto tra i giurati del concorso per la più bella d’Italia, subito la chiama per farle interpretare una piccola parte in Di che segno sei? (1975) di Sergio Corbucci (è una delle ballerine vestite di verde nell’episodio dei segni d’aria con la Melato e Celentano ndr). Nel 1976 è già protagonista di una commedia sexy con Alvaro Vitali, La professoressa di scienze naturali di Michele Massimo Tarantini, a cui seguirà anche un film diretto dalla Wertmuller, La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1977), ma la vera consacrazione sexy arriva con le copertine di Playboy, Playmen, Penthouse, Blitz. E poi nel film apparentemente sarcastico del ‘78 – Avere vent’anni , rivalutato negli anni duemila da Quentin Tarantino, con queste due autostoppiste (Carati e Guida) che vivono alla giornata tra comunità hippie, libertà sessuale e malintenzionati che dapprima appaiono come buffi affamati, ma poi finiscono per diventare terrificanti carnefici in uno stupro di gruppo ultracensurato, sembra quasi scriversi il destino futuro della Carati, anima debole ed ingenua travolta da uno showbiz vorace e mai sazio di popolarità da gettare nel tritacarne. Impossibile per la Carati passare inosservati, oltretutto in un’epoca di pornografia nascente su grande schermo. Ecco allora il tempo di altri due tre titoli da commedia sexy (di film ne ha girati in tutto 24); la relazione con il regista Pasquale Festa Campanile che la dirige ne Il corpo della ragassa – tratto da un libro di Gianni Brera e con il soggetto di Alberto Lattuada – dove interpreta una improvvisata prostituta e in Qua la mano dove ritrova Celentano; e infine l’arrivo del soft porno. È nel trittico di Joe D’Amato che avviene la svolta senza ritorno: L’alcova (1985), Il piacere (1985), Voglia di guardare (1986). Nell’87 il primo titolo porno Una moglie molto infedele, con la regia di Giorgio Grand (1987), sul cui set incontra e lavora con Rocco Siffredi. Sempre con Grand seguono Una ragazza molto viziosa (1987), Una scatenata moglie insaziabile e Il vizio preferito di mia moglie. Gli anni ottanta per la Carati sono però anche gli anni in cui comincia a drogarsi con una facilità che nemmeno bere un bicchier d’acqua. “Le mie vicende sono il risultato degli anni Settanta, di certi ambienti”, aveva spiegato in un’intervista di una decina d’anni fa, “La droga leggera era considerata un modo di essere. E io ero debole. Passare all’eroina è stato facile. Complice soprattutto un viaggio di Natale in Thailandia: lì ti riempivano di roba”. E ancora a Vanity Fair: “Giravo i porno per avere i soldi e comprarmi la droga. Mi facevo di eroina, cocaina, tutto”.

Dopo due tentativi di suicidio e un arresto per detenzione di eroina la Carati finisce per tre anni in disintossicazione nella comunità Saman di Mauro Rostagno, periodo raccontato nel docufilm “Lilli, una vita da eroina” di Rony Daopoulos. Ma è solo nel 2008 che si torna a parlare di lei con una lunga serie di apparizioni nei rotocalchi tv, tra cui l’unico sentito e attento omaggio alla carriera personale senza troppi infingimenti di Marco Giusti in Stracult. Nel 2011 il regista Luigi Pastore le affida un ruolo da protagonista principale nel suo thriller La fiaba di Dorian, girando un teaser di presentazione. È il primo ritorno ufficiale di Lilli Carati davanti alla macchina da presa, dopo 22 anni dalla sua ultima interpretazione cinematografica. Il film che vede come produttori esecutivi i Manetti Bros. non è però mai uscito in sala. Quando, infine in un’intervista al Corriere della Sera sempre del 2008 le venne chiesto se aveva rimpianti o rimorsi per il proprio passato, la Carati rispose: “Niente. Il passato mi lascia indifferente. Fa parte della vita. E io sono cambiata”. I funerali si terranno mercoledì 22 ottobre, alle ore 14.30, nella chiesa di San Paolo, a Induno Olona, dove Lilli ha vissuto per anni, prima di trasferirsi a Varese, la sua città, dove ha vissuto assieme ai genitori negli ultimi anni della malattia.

Da Youtube Avere vent’anni

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