“Dopo anni di turbo-finanza, l’economia reale deve tornare al centro dell’agenda politica del Paese. E tra le urgenze c’è la politica industriale italiana che deve essere messa nelle condizioni di competere in Europa e a livello internazionale. Per questo, entro il primo maggio taglieremo del 10% il costo dell’energia per le imprese attraverso una rimodulazione del paniere della bolletta energetica”.

È il 12 marzo 2014 quando, in piena crisi di annuncite, il premier Matteo Renzi – con slide e pesciolini che scorrono alle sue spalle – spiega questa nuova misura per rilanciare la competitività delle piccole e medie imprese e fargli raggiungere un totale di 1,5 miliardi di euro di sgravi a regime dal 2015. Del resto le pmi ogni anno, in media, sborsano 14mila euro di bolletta elettrica, il 35% della quale è determinato dagli oneri generali di sistema e un altro 6% dagli oneri fiscali. Costi che – rileva Confcommercio – nel terzo trimestre del 2014 sono riusciti a lievitare di un ulteriore 6,7%, mentre a ottobre, novembre e dicembre l’aumento è del 3,9%.

La norma taglia-bollette (così è stata subito ribattezzata) nonostante la task force istituita a giugno tra il ministero dello Sviluppo economico e quello dell’Economia, diventa tuttavia operativa il 7 agosto con l’entrata in vigore del provvedimento di conversione del decreto legge Competitività. E, solo il 17 ottobre, il ministro Federica Guida ha firmato i primi tre provvedimenti di attuazione delle norme per la riduzione delle bollette elettriche. Decreti che, quindi, arrivano in ritardo di 8 mesi rispetto all’annuncio del premier, accompagnati non solo da uno strascico di polemiche e lamentale da parte degli addetti ai lavori, ma anche con la riduzione degli oneri di incentivazione più che dimezzati, passando a 500-700 milioni di euro.

Cosa prevedono i tre decreti
Il primo provvedimento (concertato con il ministero dell’Ambiente e su cui si è espressa favorevolmente l’Autorità per l’energia) si occupa della rimodulazione volontaria degli incentivi all’energia prodotta da fonti diverse dal fotovoltaico. La norma consente ai produttori alle prese con operazioni di rifacimento o ripotenziamento del sito di ottenere un incentivo prolungato di sette anni, ma più basso.

Il secondo decreto – che attiene alle modalità di erogazione degli incentivi al fotovoltaico da parte del Gestore dei servizi energetici (Gse) – riconosce ai produttori, ogni anno, un acconto pari al 90%, calcolato sulla base della produzione effettiva dell’anno precedente, ma con saldo entro 60 giorni dall’invio delle misure sulla produzione effettiva e comunque entro il 30 giugno dell’anno successivo.

Il terzo decreto regola, invece, la rimodulazione degli incentivi agli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 200 kW nell’arco dei 20 anni. E si tratta “dell’opzione B” del cosiddetto spalma-incentivi.

Questo, almeno, è quanto è stato scritto nei decreti. Dalle parole, poi, si passa ai fatti. E i commenti delle associazioni di settore sono tutt’altro che positivi, dal momento che lo sconto – questa la principale critica che viene rivolta – è avere penalizzato la produzione di energie pulite, a vantaggio, della produzione di energia fossile.

Per Assorinnovabili “l’unica voce di aggravio dei costi energetici su cui il governo ha avuto la forza di intervenire sono stati gli incentivi per le rinnovabili: solo i titolari di grandi impianti fotovoltaici (oltre 200 KW) potranno scegliere tra un’erogazione delle entrate previste dal conto energia su 24 anni invece che su 20 (si riceve meno ma per più anni) oppure un taglio secco del sussidio”. Una misura che ha fatto gridare allo scandalo i produttori di energia solare che hanno annunciato dure battaglie legali contro la retroattività del provvedimento. Una rivoluzione scattata a meno di 40 giorni dal termine ultimo, fissato dal Legislatore al 30 novembre, per comunicare al Gse l’opzione di riduzione tra le tre previste dalla norma.

La misura, inoltre, risulterebbe ampiamente inefficace, dal momento che lo sconto energetico rivolto alle Pmi non produrrà nessun beneficio per la maggior parte delle imprese e dei lavoratori autonomi presenti in Italia. Come ha spiegato Lavoce.info, su 425.000 imprese manifatturiere energivore, ossia quelle su cui si applicherà il beneficio del 10%, sono solo 3.000 quelle coinvolte.

Limiti segnalati anche dai sindacati. “Del taglio della bolletta elettrica ne godranno soltanto il 15% delle piccole e medie imprese”, denuncia il responsabile politiche energetiche della Cgil, Antonio Filippi secondo il quale “la stragrande maggioranza delle Pmi opera con soglie di potenza inferiore ai 16,5 KW previsti dal decreto”.

Inoltre, denuncia la Photon Energy, “il provvedimento infligge un colpo fatale a coloro che hanno investito capitali propri per la realizzazione di impianti di capacità superiori ai 200kW, indebolendo così la fiducia nei confronti dell’Italia, quale destinazione affidabile per investimenti finanziari ed industriali”. I produttori che, infatti, decideranno di aumentare la loro capacità – spiega ancora la società – “dovranno ridiscutere i contratti di finanziamento con le banche, le autorizzazioni con gli enti locali e i diritti di superficie con i proprietari di edifici, capannoni e terreni”.

Così, in attesa, di capire quali effetti produrrà il provvedimento, meglio ricordare che dal primo ottobre sono già scattati gli aumenti per le bollette della luce (+1,7%) e, soprattutto, del gas (+5,45), a causa della crisi russo-ucraina.

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