Alcuni commenti al mio ultimo post meritano qualche approfondimento,in particolare con riferimento passaggio conclusivo “se vogliamo che il motore del paese si rimetta in moto occorre operare le riparazioni necessarie ”.
Sintesi in una domanda veloce: come si rimette in moto il motore del paese?
Risposa veloce: semplificando e liberando i cittadini dalle ingerenze indebite che al momento limitano la loro autonomia.
La mia tesi è pertanto che l’economia italiana non abbia semplicemente bisogno di una qualche “spinta” per ripartire; ma che piuttosto vi siano piuttosto problemi strutturali impediscono al sistema di funzionare correttamente.
Semplificare vuol dire innanzitutto eliminare passaggi burocratici inutili: secondo il Global Competitiveness Report 2013-2014 tra i fattori che ostacolano la possibilità di fare impresa dopo la pressione fiscale e la possibilità di accesso al credito, spicca con il 17% di risposte tra gli intervistati, l’inefficienza della pubblica amministrazione. Il tempo e le risorse impiegate in adempimenti non necessari, non solo sono sottratti ad attività che potrebbero essere più utili e contribuire alla crescita e al benessere del paese, ma incidono anche sulle valutazioni di convenienza delle decisioni di investimento.
Sono poi numerose le ingerenze indebite nei rapporti economici tra adulti consenzienti: ad esempio, se Matteo vuole assumere Riccardo, che vuole essere assunto da Matteo, occorre intervenire su quelle regole che oggi impediscono all’accordo tra le parti di tradursi in un contratto di lavoro e spinge, spesso, il secondo ad emigrare e il primo a chiudere bottega. Per inciso, non sto parlando di legalizzare la schiavitù o i licenziamenti discriminatori o ridurre la sicurezza sul posto di lavoro. L’idea è che nei limiti delle regole generali a tutela della salute individuale e dei diritti inalienabili, quanto, dove, come e per quanto si lavora lo decidono in modo più opportuno le due parti in causa rispetto a un sistema che impone ai consulenti informatici il contratto collettivo dei metalmeccanici.
Senza nascondersi dietro un dito, restituire ai cittadini l’autonomia che gli compete, vuol dire ridimensionare l’intermediazione dello stato che sottrae ai cittadini più di metà di quel che guadagnano per finanziare servizi scadenti, ma anche per sussidiare attività imprenditoriali (dalla Rai alle Ferrovie passando per la galassia delle imprese a vario titolo controllate o influenzate dal potere politico) che poco o nessun valore aggiunto danno ai cittadini e servono solo a manutenere gli interessi di una minoranza di soggetti a metà strada tra i mandarini e gli oligarchi.
Ma è sufficiente allentare le briglie? Senza neanche un “aiutino” di sussidio pubblico o incentivo? Si lo è, perché, ad esempio, se diventa più semplice e meno costoso dare in affitto un immobile (e rientrarne in possesso all’occorrenza) milioni di persone potrebbero avere l’opportunità di concludere contratti più vantaggiosi, risparmiare da un lato grazie alla maggiore offerta e guadagnare dall’altro mettendo a reddito quel che prima conveniva tenere sfitto.
Se diventa più semplice e meno costoso fare impresa, una parte di quelli che aprono o si trasferiscono all’estero deciderà di investire in Italia assumendo creando occupazione e ricchezza. Piaccia o meno a chi teorizza il taglio graduale del ramo su cui siamo seduti solo se il settore privato è sano e vitale può mantenere con le proprie imposte le istituzioni pubbliche che consideriamo conquiste di civiltà: l’alternativa è un spirale negativa di decrescita e regressione sociale.
Tirando le somme il motore si aggiusta:
eliminando le regole dannose e inutili che oggi impediscono di lavora e fare impresa a chi ha voglia di costruire qualcosa nel nostro paese ed è quindi costretto a trasferirsi altrove
modificando i meccanismi burocratici perversi che disincentivano le attività produttive e incoraggiano il parassitismo e la distruzione di valore
imponendo allo stato di fare
un passo indietro nelle attività che non gli competono e dove distrugge valore per la collettività distorcendo i meccanismi di mercato
un passo avanti in quelle infrastrutture essenziali (tempi della giustizia, adempimento dei contratti, raccolta delle imposte etc) che facilitano la vita e il lavoro dei cittadini
Riassumendo, un’economia libera, che non è appesantita da regole e istituzioni concepite ad uso e consumo di pochi privilegiati o da meccanismi evidentemente disfunzionali (come tassare a sangue i poveri per dare beni di lusso sottocosto ai ricchi come avviene con l’università) cresce anche da sola, e può permettersi di redistribuire le risorse in favore dei più svantaggiati, mentre le chiacchiere storicamente infondate di certi pifferai hanno a che fare più con la causa che non con la soluzione dei problemi del paese.