Il delirio pedagogico di Ignazio Marino non dà scampo: “Il sindaco deve essere avanti al proprio popolo e non indietro, non deve guardare ai sondaggi e poi seguirli in base alle opinioni”. Ma sì, perché dare peso alle trascurabili opinioni degli interessati quando hanno la fortuna di un sindaco che è avanti? La geometria politica ignaziana è confusa: “L’Italia è stata e continua a essere più avanti della propria classe politica”. Quindi il trenino è questo: in coda la classe politica (esclusi i sindaci) che fa schifo; in mezzo il popolo, saggio ma poco lungimirante; in testa il sindaco onnisciente e vocato a insegnarci a vivere.
Sbagliano dunque gli omofobi convinti o inconsapevoli che accusano Marino di usare il tema del matrimonio gay per distrarre il popolo dai suoi disastri amministrativi. Il sindaco di Roma sa benissimo che la registrazione all’anagrafe di matrimoni gay contratti all’estero è una sceneggiata illegale, legittimata dal passepartout della “provocazione”. E sa che il nodo può essere sciolto solo dal Parlamento. Ma il mondo com’è non gli piace. Non gli basta la diffusa convinzione popolare che non ci sia una seria ragione per vietare il matrimonio omosessuale. Gli rode che i romani l’abbiano eletto pensando a cassonetti da svuotare, buche da tappare sulle strade, metro C da finire e autobus da far passare in orario, se non frequenti e regolari, almeno vagamente prevedibili. Sogna una Capitale dove il cittadino medio di fronte al cassonetto pieno non si chieda “e mo ’ dove lo butto?”, ma quando questo benedetto Paese si adeguerà ai più civili sui gay.
Il trenino pedagogico impone ai romani una biblica condanna: si sposteranno con dolore. Loro sanno che non ci sarebbe ragione al mondo per rischiare la pelle in motorino se ci fossero comodi mezzi pubblici. I mezzi pubblici latitano e così ieri Marino, implacabile, ha pedonalizzato un’ampia area del centro storico, da piazza del Popolo a Palazzo Chigi, e l’ha chiusa anche ai motorini che per molti sono una zattera nel traffico disperante.
Migliaia di poveri cristi oppongono alla illuminata decisione una domanda triviale: “E adesso come vado a lavorare?”. Lui non fa una piega: “Il cambiamento è sempre il processo più difficile per un essere umano”. Non si cura dei sondaggi ma li inventa, e benedice: “Rispetto a poche persone che non approvano il progetto, mi rincuora la gioia della maggioranza: l’80-85 per cento delle persone che abitano qui”.
Giustamente il generone con attico in piazza di Spagna applaude, la colf che viene dalla borgata si attacca. Ma anche le colf devono migliorarsi, e nella visione di Marino devono essere quelle che ne hanno più bisogno. Il metodo è semplice: anziché sconfiggere auto e motorini con metropolitane e autobus, che è fatica, si pedonalizza il centro e si aumentano del 50 per cento le tariffe dei parcheggi eliminando lo sconto sulla sosta di otto ore. In questo percorso di sofferenza ed espiazione pensato da Marino, i romani dovrebbero diventare danesi, instancabili pedalatori e camminatori anche a 30 chilometri dall’ufficio, attenti ad ambiente e salute.
Alti, biondi, occhi azzurri, andranno sorridenti al lavoro inforcando la bicicletta. Tutti i giorni, a parte quando gliel’avranno rubata. Ma queste cose, chi sta avanti al popolo, non le sa.
Il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2014