Venti anni di gioco di squadra non sono pochi. Una vita. La sua e, in parte, quella dei tifosi, per i quali ormai è una di casa, una amica di amici, una vicina. Ha vinto tutto, quattro scudetti, due Coppe Italia, cinque volte la Coppa dei Campioni, due medaglie ai giochi del Mediterraneo e un’altra lunga serie di titoli. Ha il record di 495 presenze nella nazionale italiana, roba da Guinness. E la lista non è finita e non finisce qui perché, nonostante i quasi 35 anni di età, Francesca Piccinini a smettere non ci pensa proprio. Costretta a rapportarsi con le compagne di squadra, anche con quelle che per tutta la vita avrebbe schivato. La pallavolo le ha insegnato questo, soprattutto. E le ha insegnato che il talento esiste, certo, ma senza la tecnica non vai da nessuna parte.
Piccinini è alta un metro e 85 centimetri. È la veterana del volley. Ha fatto calendari, avuto fidanzati famosi, passeggiato nella dolce vita milanese, ma il cuore è sempre rimasto lì, tra bagher e schiacciate, muri e attacchi. Corsa e palestra. Si allena quasi quattro ore al giorno, ma non sono tante: quando ha iniziato erano otto. Oggi è una corsa in discesa, è una giocatrice fatta, deve solo mantenersi, quello che doveva imparare lo ha imparato e messo via.
È davvero uno sport sano? Possibile che il doping non sia mai circolato?
A 14 anni ero in serie A, due anni dopo in nazionale e non ne ho mai visto l’ombra. Avrà altri difetti, non la droga.
Quali difetti?
Che non tutti capiscono che alla fine è un gioco di squadra e non c’è bisogno di fare la divina.
Proprio lei lo dice? È uno dei sogni degli italiani…
Questo ruolo, quello della bella, a me, l’hanno cucito addosso, ma le mie compagne sanno come sono: non so cosa sia l’individualità, per me esiste la squadra. Sì, non sono brutta, ho avuto momenti di spazio pubblicitario in più, ma in campo sono sempre stata umile.
Vi siete contese il primato di miss con Maurizia Cacciatori per anni.
Maurizia è sempre stata più bella di me, più formosa. Io non ho seno (ride, ndr). Abbiamo storie diverse, lei è di Carrara io di Massa, lei non gioca più, io sono ancora qui.
E il calendario nuda?
È stato una sfida anche quello. Ma non ero nuda.
Lei disegna un mondo fantastico, senza rivalità e veleni, cattiverie. Neppure la vanità. Ci sarà un posto dove si è trovata male?
Accidenti se c ’ è stato. Neppure troppo tempo fa, a Torino. Una società non gradevole, almeno per me. E non pagavano.
Cosa vuol dire non pagavano: niente stipendio o troppo basso?
Niente, zero, mai visto un euro. Ma sarebbe stato il minimo, anche se è il mio lavoro e gradirei come tutti una retribuzione, era proprio un ambiente che non consiglio. Comunque capita in tanti anni una tappa sbagliata, quella di Torino lo è stata.
Non le mancheranno i soldi.
No, non mi mancano, però me li sono sudati. Come tutti. Non mi ha mai regalato niente nessuno. Non mi chieda quanto guadagno, non lo dico. Però a Modena sto bene, sono testimonial di una casa di moda, sono apposto anche dal punto di vista economico. L’anno a Torino è stato un inferno sotto tutti i punti di vista. Società non seria, tutto frana, ovviamente. Non vedevo l’ora di scappare.
Togliamoci il pensiero: nel volley come nel basket femminile l’omosessualità è il quotidiano. Si è abituata?
All’inizio era più difficile perché le ragazze omosessuali avevano più difficoltà a dichiararsi. Oggi per fortuna è diverso. Ho compagne molto felici della loro vita sentimentale e sessuale. Io non ho mai giudicato. Credo che sia normale, mai vissuta con pregiudizio. Diciamo che non io non sono gay, vivo nuda insieme alle altre da quando avevo 8 anni, si sarebbe manifestata la tendenza. Ma ho grande rispetto per quelle che lo sono, grandi amiche anche quelle che ci hanno provato. Mi ha aiutato anche in questo la pallavolo, a superare quelli che sono i giudizi preconfezionati.
Tornasse indietro rifarebbe tutto quello che ha fatto o sceglierebbe un’altra vita?
Indietro non si torna, e comunque è la mia vita. Ho avuto la fortuna di essere arrivata a essere una delle giocatrici più forti del mondo, era quello che volevo.
Solo fortuna?
Assolutamente no. Mi è servito avere grandi squadre e grandi allenatori. Il resto me lo sono costruito.
Come le è venuto in mente di scegliere il volley?
Potere dei cartoni animati.
Cioè?
Mila e Shiro, un cartone giapponese. Passavo le giornate incollata davanti alla tv e aspettavo che arrivassero. Volevo quel mondo lì. E così chiesi alla mamma di farmi giocare. Nel frattempo, qui a Massa, dove vivo, dopo la puntata, ogni giorno, scendevo in strada con le amichette e giocavamo con delle improbabili palle, rubate ai ragazzini, palloni da calcio, per intenderci. Ma è servito anche quello. Come sono servite le partitelle all’oratorio e quelle in spiaggia.
Quando è arrivata la prima squadra?
Presto, a otto anni. Ero una bambina molto alta e imbranata.
L’allenatore?
Si chiama Maurizio Nervi, è ancora un amico. Lui continua a allenare le ragazzine del San Carlo, così si chiama la squadra, e quando ho partite importanti arrivano in pullman, mi seguono, fanno il tifo. Questo è lo sport di squadra. Anche questo: amicizie indissolubili.
Lei da ragazzina era tutto talento?
Avevo dalla mia l’altezza. Ma è bene sfatare un mito: l’altezza c’entra poco. Ci sono giocatrici, molto più brave di me, che sono molto più basse. Certo che conta, è importante, ma non è tutto. Ci vuole soprattutto la tecnica e quella l’ho affinata durante interminabili allenamenti, otto ore al giorno a buttare la palla di là dalla rete. A provare il bagher che è fondamentale, bagher vuol dire ricezione, difesa e appoggio. E il talento non c’entra niente, si impara a fare tutto con ore e ore di allenamento. Non c’è altro modo.
Lei però è schiacciatrice?
Certo, ma nella pallavolo è così, devi saper fare tutto. A partire dalla battuta alla difesa. Uno si immagina che sia solo attacco, non è vero niente, il meccanismo della rotazione lo rende uno sport dove il ruolo è assolutamente relativo. Una grande schiacciatrice non è necessariamente una brava palleggiatrice, ma deve saper fare anche quello. Altrimenti la partita è persa.
Attualmente dove si trova? In vacanza?
Magari. Quest’anno niente vacanze, c’è il campionato mondiale in casa nostra, in Italia. Giochiamo tra Modena, Verona, Roma, Assago, Trieste. Mi hanno convocata ancora una volta, sono felice. Ci vuole un fisico bestiale, alla mia età.
Appunto: 35 anni e capitano della nazionale, titolare. Mica cosa da tutti. Come si fa?
Un trucco che non svelo. Sto scherzando. Non c’è nessun trucco, solo la forma fisica. Io mi sono abituata ad allenare ogni singolo muscolo, anche quello che può sembrare insignificante. Tutto qui. Non c’è nessuna pozione magica, nessuna medicina. Madre natura mi ha dato un buon fisico, il resto ce l’ho messo tutto io.
3 COSE DA FARE
– Affinare la tecnica: si nasce con una predisposizione, il resto si costruisce
– Non solo attacco: il volley non è solo segnare il punto, c’è un gioco di squadra da costruire
– Testa e muscoli: visione di gioco, intelligenza, ma ci vuole molta palestra
3 COSE DA NON FARE
– Egocentriche: la tentazione c’è ma non si può giocare per se stesse
– Sentirsi intoccabili: tutte possono essere sostituite, non esistono presenze fisse in campo
– Rispetto dei ruoli: ognuno deve fare il suo, quello in cui riesce meglio
Il Fatto Quotidiano, Lunedì 16 giugno 2014