Già sorpresi perché l’Unesco, invertendo una tendenza, scelse questo straordinario agglomerato, come primo sito del Sud patrimonio dell’Umanità. Non era facile, anzi non lo è tuttora, definire ed accettare nella realtà italiana di centri storici magniloquenti medievali, rinascimentali o barocchi, specie dopo le altre due città che nel passato ricevettero l’ambito attestato, ossia Firenze e Genova, un contesto in cui l’elemento predominante è la stratificazione di epoche e di connotazioni, dai pregevoli ma sobri palazzi nobiliari all’architettura rupestre con l’unicità del suo tessuto abitativo e della sua morfologia urbana. Quello che colpisce, in attesa di conoscere le motivazioni della scelta, peraltro non unanime, è quindi l’originalità ed il coraggio di privilegiare una realtà architettonica non scontata, non patinata, ma unica, raffinata e nel contempo rude, monolitica e monocromatica, non dotata di eccezionali e conosciutissimi monumenti ma essa stessa un monumento eccezionale.
Perché Matera, ovvero la Città di pietra, e più in particolare i rioni dei Sassi, costituiscono e rappresentano la simbiosi perfetta tra architettura e natura, tutt’uno forma e materia; è anzi architettura che diventa scultura, al pari delle “meteore” greche, come motivò l’Unesco: “L’equilibrio tra intervento umano e l’ecosistema mostra una continuità per oltre nove millenni, durante i quali parti dell’insediamento tagliato nella roccia furono gradualmente adattate in rapporto ai bisogni crescenti degli abitanti”. L’origine antichissima di questa città, prima greca poi romana con il nome Civita, sul cui perimetro si sviluppò la città medievale e che mantiene pressoché intatto il suo fascino discreto, ha subito per fortuna poche manomissioni; anzi proprio nella zona dei Sassi, a seguito del loro rilancio, dove sussisteva il pericolo del ricorso al caratteristico, al pittoresco all’ostentato povero, ci sono state alcune prove di giusto equilibrio tra conservazione ed innovazione e si auspica che questa tendenza continui.
D’altra parte ha significato qualcosa la presenza o passaggio di raffinati intellettuali quali Manlio Rossi Doria, Umberto Zanotti Bianco, Giustino Fortunato, Zanardelli e poi di uno dei padri dell’urbanistica moderna Luigi Piccinato che firmò il Piano Regolatore, senza dimenticare anche di Carlo Levi che, con il suo drammatico ed apparentemente offensivo epiteto di vergogna nazionale attirò per primo l’attenzione sulle condizioni di degrado in cui versava la parte più povera della città. Il primo risanamento igienico, dopo la denuncia di Levi, fu avviato negli anni ’30 con un ambizioso piano denominato Per la più grande Matera con l’avvio di opere pubbliche ed assetto idro-geologico secondo la prassi dell’epoca, anche a Genova adottata, cioè l’incanalamento dei torrenti (chiamati grabiglioni) che da sempre avevano caratterizzato lo sviluppo dei Sassi.
Un dibattito sempre acceso e propositivo, ha sempre animato questa città sospesa tra il marchio di vergogna nazionale e quello di patrimonio dell’Unesco nella sua componente più povera, sino a Città Europea della Cultura: sarà stata anche questa determinazione a non cancellare nella memoria collettiva un passato che per alcuni sarebbe stato un imbarazzo per elevarlo a simbolo del connubio inscindibile tra architettura e natura. Matera tutta, (non solo i Sassi), la città di pietra, è Materia che si fa arte, povertà che diventa ricchezza e bellezza, disagio che si trasforma in opportunità. Questo è il messaggio che, se saprà ben valorizzare il suo patrimonio edilizio, potrà diffondere a tutta l’Europa.