Un indizio tiene ancora in carcere Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello accusato di essere il killer di Yara Gambirasio: il Dna lasciato dall’assassino sul corpo della 13enne è compatibile con il suo. Gli altri elementi raccolti dalla Procura contro di lui, a cominciare dalla calce rinvenuta nei polmoni della ginnasta e i dati sulle celle telefoniche, vengono ridimensionati dai giudici del Tribunale del Riesame di Brescia che il 20 ottobre hanno respinto la richiesta di scarcerazione presentata dai legali di Bossetti, detenuto in isolamento nel penitenziario di Bergamo da più di cento giorni. Perché su di lui – si legge nelle 23 pagine di ordinanza – continuano a esserci “gravi indizi di colpevolezza”. La difesa potrà ricorrere contro questa decisione in Cassazione.
Dna, “attività svolta dal Ris perfettamente valida”. Già il gip di Bergamo il 15 settembre scorso aveva respinto la richiesta di scarcerazione e con la decisione dei giudici di Brescia la procura si vede confermare l’ipotesi accusatoria proprio su la “prova regina” che lo scorso 16 giugno ha portato al fermo di Bossetti. Una prova, che allo stato, sembra inattaccabile, chiara, pesante. In merito, i giudici del Riesame Elena Stefana, Simone Devioli Devoto e Michele Mocciola scrivono: “È realistico assumere che la partecipazione dell’indagato all’assassinio di Yara Gambirasio sia desumibile dalle tracce biologiche da lui provenienti sul corpo della vittima”. Inoltre son si può discutere il fatto che il Dna trovato sul corpo della ginnasta sia del muratore di Mapello e “la complessa attività” svolta dal Ris dei carabinieri è “perfettamente valida”, così come di questa attività “restano utilizzabili integralmente gli esiti”, raccolti nella relazione conclusiva.
Per i giudici la polvere di calce è un “dato neutro”. Fin qui le certezze. A sbiadire il mosaico in cui il pm ha inserito tessera dopo tessera gli elementi a carico del muratore le valutazioni sugli altri indizi: “A questo caposaldo (il Dna) si affiancano alcuni elementi rafforzativi, in quanto non in contrapposizione seppur, anche complessivamente considerati, non dirimenti”. A cominciare dalla polvere di calce trovata nelle vie respiratorie, sulla cute e sugli indumenti della ragazza, scomparsa da Brembate di Sopra (Bergamo) il 26 novembre 2010. Secondo la Procura quelle polveri sono simili e in parte corrispondono a quelle campionate nel cantiere di Mapello. Sulle suole delle scarpe di Yara, inoltre, erano state individuate piccole sfere di nichel, ferro e cromo, oltre a micro particelle di calci, silice e tungsteno. Sostanze utilizzate nell’edilizia, dove Bosseti lavora. Ma per i magistrati questi sono dati “neutri” che servono, al massimo, per ricostruire la dinamica dell’omicidio. “Ma che sono poco significativi per istituire una relazione univoca con Bossetti, solo perché lavora come muratore: infatti, la sua professione è in astratto compatibile con l’origine di quei materiali, ma non automaticamente ne è la fonte, anche perché non è stato dimostrato che in quel periodo li maneggiasse”. Bossetti – sostengono i giudici – nel periodo dell’assassinio poteva essere impegnato in mansioni che non richiedevano l’utilizzo di quei materiali. E Yara, prima di essere lasciata esanime nel campo di Chignolo d’Isola (dove verrà trovata cadavere il 26 febbraio 2011) “poteva essere stata condotta” nel cantiere di Mapello “da chiunque, anche da chi non svolgeva lavori edili”.
I tabulati telefonici, Bossetti era residente a Mapello. Passiamo ai tabulati telefonici. Gli inquirenti sostengono che le celle agganciate dal cellulare di Bossetti dimostrano che l’uomo, quel 26 novembre, si trovava nella stessa zona frequentata da Yara, pochi minuti prima che la ragazzina sparisse. Ma per la difesa, dalle 17 e 45 il cellulare del muratore rimane agganciato alla cella di Mapello. Mentre l’ultimo segnale dal telefono della 13enne arriva dopo oltre un’ora. Alle 18 e 49, quando la ragazza riceve un sms da un’amica. Poi viene spento alle 18 e 55, e secondo un documento Vodafone è agganciato alla cella di Brembate. Un particolare che secondo gli avvocati difensori allontanerebbe Bossetti dalla ragazza. E che per i giudici bresciani non rappresenta un indizio schiacciante contro il muratore: “Le risultanze dei tabulati implicano solamente che non sono smentiti gli assunti per cui il giorno del delitto l’indagato gravitava nei pressi ed era nelle condizioni di avvicinare” Yara. Ma queste considerazioni, per il Riesame, “hanno scarso impatto e rimangono di contorno, in quanto è pacifico che (Bossetti, ndr) era residente proprio a Mapello” che dista una manciata di chilometri dalla palestra di Yara. Inoltre il muratore, fin dall’interrogatorio di convalida del fermo, ha sempre ammesso che per rincasare dopo il lavoro passò proprio davanti alla struttura, nel tardo pomeriggio di quel maledetto 26 novembre. Il che spiega “in modo plausibile la telefonata in zona Mapello alle 17 e 45 e ne svilisce la portata accusatoria”.
Nei giorni scorsi, poi, la consulenza degli esperti dell’Università di Pavia aveva fatto ben sperare gli avvocati Gazzetti e Salvagni. Nessuno dei peli umani raccolti dal cadavere della ginnasta sono di Bossetti, mentre due dei 200 analizzati appartengono a un altro individuo. Anche se questo non basta – secondo gli esperti – a ipotizzare la partecipazione di un’altra persona all’omicidio.