Sentenza d'appello a Palermo. L'imprenditore era accusato di aver costretto il padre della donna a scrivere una lettera in cui si diceva falsamente che la Procura aveva autorizzato il riscatto
Un dibattimento durato 14 anni, quello sul sequestro di Silvia Melis. E ora, è caduta anche l’ipotesi di calunnia contestata all’editore Nichi Grauso. Assolto “per non aver commesso il fatto”. È quanto ha stabilito la prima sezione della corte d’appello di Palermo sul caso dell’imprenditore accusato di aver calunniato i magistrati della procura di Cagliari. In primo grado sia Grauso che l’avvocato Luigi Garau e il giornalista Antonangelo Liori erano stati assolti dal tribunale di Palermo dall’accusa di estorsione e tentata estorsione nei confronti di Tito Melis, padre di Silvia, rapita in Sardegna nel 1997. Mentre Grauso, assistito dall’avvocato Mario Bellavista, era stato condannato a due anni e sei mesi (pena condonata per l’indulto) per la calunnia.
Secondo la Procura, il padre della sequestrata sarebbe stato costretto a scrivere una falsa lettera liberatoria nella quale si affermava che la procura distrettuale di Cagliari aveva autorizzato il pagamento del riscatto. Da qui l’accusa di calunnia nei confronti dei magistrati di Cagliari Carlo Piana e Mauro Mura. La Procura non fece appello contro la sentenza del Tribunale, appellata però da Grauso che aveva rinunciato alla prescrizione, mentre per lo stesso reato erano stati condannati Liori e Garau. In primo grado l’accusa principale era quella di estorsione perché, secondo i pm, Grauso e gli altri imputati, che avrebbero fatto da mediatori tra i sequestratori e la famiglia Melis, si sarebbero intascati il miliardo che l’imprenditore aveva consegnato per la liberazione della figlia. Il dibattimento, cominciato più volte per il rinnovo dei giudici del collegio che lo hanno celebrato, è durato, tra primo e secondo grado, 14 anni.