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Università Bologna detta il codice social agli studenti. Ma per tutelare cosa?

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In una Bologna in cui gli affitti in nero pagati dagli studenti sono un affare per molti “furbetti da appartamento”. In una Bologna in cui gli studenti sono da sempre il sostegno economico non riconosciuto dell’economia del centro storico e il fulcro del fermento culturale della città, anche se considerati pubblicamente solo “rumorosi giovinastri senza diritto di voto alla amministrative”. In questa Bologna il Senato accademico dell’Alma Mater Studiorum ha ben pensato che il problema da risolvere fossero i pensieri degli studenti. Il bispensiero di orwelliana memoria che si esprimerebbe pubblicamente in strada o addirittura su Facebook. E così si sono inventati il Codice etico di Comportamento che già dal nome suona molto perbenista.

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L’articolo 15 del codice recita: «L’Università richiede a tutti i componenti della comunità di rispettare il nome e il prestigio dell’istituzione e di astenersi da comportamenti suscettibili di lederne l’immagine». Ma di quale prestigio parlano? A ledere l’immagine dell’Alma Mater Studiorum e dell’Università Italiana sono i docenti che infilano i figli a lavorare all’università, sono i docenti che obbligano a comprare i loro libri solo per aumentarne la tiratura, sono i poveri assistenti, ricercatori, borsisti che sostengono con il proprio lavoro l’Università italiana in cambio di due lire, e che sono costretti anche a ringraziare per questa elemosina, sono gli affitti in nero, le raccomandazioni agli esami, non è certo uno studente che su Facebook si lamenta che la retta universitaria è troppo alta. Non dimenticatevi distinti “senatori” della Accademia che l’Università è di chi paga le tasse, non di chi le incassa, e che il suo prestigio è conseguenza dei fatti e non delle libere opinioni degli studenti.

Mi sa che mi becco una sanzione disciplinare post-laurea.

Foto credit: twitter 

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