Meglio non polemizzare o questionare sul prestigio e l’immagine dell’Università di Bologna, anche sui social network. E’ l’obbligo a cui la comunità accademica – docenti, ricercatori, personale e studenti – dell’Alma Mater bolognese dovrà sottostare a partire dal 1 novembre 2014 quando entrerà in vigore il nuovo Codice Etico. Al quarto comma dell’articolo 15 del Codice il riferimento alle nuove forme di comunicazione sul web è scritto a chiare lettere: “L’università richiede a tutti i componenti della comunità di mantenere un comportamento rispettoso delle libertà costituzionali, del prestigio e dell’immagine dell’istituzione, anche nell’utilizzo dei social media”. “Non è una norma eversiva e nemmeno un divieto, come non c’è nessun intento censorio o di lesione della libertà di espressione della singola persona”, spiega al fattoquotidiano.it Patrizia Tullini, prorettore al personale dell’Unibo, “chiediamo semplicemente un comportamento corretto come viene già chiesto di adottare su altri mezzi di comunicazione: radio, tv e giornali”.

La dimensione comunicativa pubblica del web irrompe anche tra i dettami comportamentali dell’ateneo più antico del mondo occidentale, che già nel 2006 con rettore Pier Ugo Calzolari adottò per primo in Italia un Codice Etico uniformandosi ad altre realtà europee e statunitensi: “Quel codice all’avanguardia in soli dieci anni sembra diventato preistoria”, scherza Tullini, “la nuova versione è stata discussa per un anno da tutti gli organi accademici e poi ne è stata richiesta approvazione al nucleo di valutazione e anche ai sindacati. E poi abbiamo dovuto affrontare il tema dei social ed inserirlo perché è diventato d’uso comune sia tra studenti che tra i dipendenti”.

Siti web di studenti dove si commentano esami, pecche e virtù dei docenti, Tweet al vetriolo per commentare scelte e parole di colleghi, post con riflessioni polemiche su un blog o su Facebook, la rete è diventata una giungla spesso inesplorabile che ora richiede un minimo di ordine: “Espressioni critiche contro un rettore o un professore ci sono sempre state. Diciamo che la norma è voluta per casi come foto o espressioni ingiuriose e diffamatorie per qualcuno che si fa prendere la mano. Su Facebook, ad esempio, ci sono almeno due modi per discutere con i cosiddetti amici: uno aperto a tutti e uno con una cerchia di amici più ristretti, insomma una parte più riservata e non pubblica esiste e, se proprio si vuole, può essere usata. Ad esempio io uso i social solo per pubblicizzare il mio master. Si può fare”.

Una scelta che è stata subito ripresa dal collettivo Cua che ha contestato nei giorni scorsi davanti al rettorato di via Zamboni l’adozione del Codice Etico: “E’ un codice dell’ipocrisia”, hanno scritto su un volantino distribuito in strada, “apriremo a tal proposito una pagina Facebook chiamata proprio “Dillo all’Alma Mater””. Il mancato rispetto dell’articolo 15, tra l’altro, prevede “sanzioni disciplinari” per gli studenti, mentre docenti e ricercatori possono andare incontro a “note di biasimo”, come alla “esclusione dall’assegnazione di fondi e contributi di Ateneo”, o alla decadenza o esclusione dagli organi delle strutture d’Ateneo e dagli organi di governo dell’Università che “non potranno avere una durata superiore a due anni”. Non ci sarà un organo ispettivo per verificare la violazione degli obblighi richiesti: “Basta una segnalazione al rettore o al proprio superiore”, specifica Tullini, “cerchiamo però di capirci, quello che più mi meraviglia e che ci ha spinto a formulare questo articolo del codice è l’uso e l’abuso del logo della nostra università. Finisce dappertutto e senza motivo. Dobbiamo tutelarci come fanno alla Sorbona o Yale. E’ il nostro patrimonio storico”.

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