Stop agli interventi chirurgici e ormonali obbligatori per le persone transessuali e basta con i medici che stabiliscono un sesso per i bambini intersessuali, quando non sia a rischio la salute del neonato. Le associazioni per i diritti glbtqi (gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali) chiedono alla politica di prendere nettamente posizione sui temi di genere e lo fanno affidando a ilfattoquotidiano.it un appello indirizzato al presidente del Consiglio Matteo Renzi e a quello del Senato, Piero Grasso, oltre che ai presidenti delle commissioni giustizia e diritti umani, Francesco Nitto Palma e Luigi Manconi.
Trentotto sigle chiedono una veloce approvazione del disegno di legge 405 in materia di riattribuzione del sesso, in modo che il cambio di genere sui documenti non implichi la rimozione dei genitali. “Il sesso sociale sia al di sopra di quello genitale, perché questa oggi è l’interpretazione più consona alla società italiana ed europea” scrivono.
La mappa europea: dove è obbligatoria la sterilizzazione
Chi non si sottopone a interventi di demolizione e ricostruzione dei genitali, in Italia non può cambiare genere sui documenti. E così capita che al proprio funerale, una donna sia vestita da uomo e celebrata con un nome maschile. E’ il caso di Nicole, di Avenza (in provincia di Massa Carrara), transessuale dall’età di 17 anni, che alla camera ardente è stata vestita come un uomo dalla famiglia e il cui funerale è stato celebrato con il suo vecchio nome.
Non accade ovunque così. In molti Paesi europei la sterilizzazione non è obbligatoria: Portogallo, Spagna, Regno Unito, Svezia, Germania, Paesi Bassi, Austria, Polonia e Croazia, solo per citarne alcuni. La fonte è la Mappa dei diritti dei trans in Europa pubblicata da Transgender Europe. Le operazioni chirurgiche sono invece richieste per legge, tra gli altri Paesi, in Italia, Svizzera, Francia, Belgio, Norvegia, Finlandia, Lettonia, Danimarca, Repubblica Ceca, Grecia, Romania, Russia e Turchia. Ma ci sono anche Stati in cui la riattribuzione di genere non è contemplata, come Irlanda, Slovenia, Ungheria, Lituania, Albania, Macedonia, Serbia e Bulgaria.
Riattribuzione del genere: un iter troppo lungo e costoso
Per cambiare genere sui documenti, oggi in Italia bisogna andare incontro a un percorso psicologico obbligatorio, a una terapia ormonale, ad operazioni chirurgiche di demolizione e ricostruzione e a una trafila nei tribunali. “Il periodo in cui una persona transessuale, che voglia sottoporsi ad interventi chirurgici, è costretta a vivere con i documenti difformi è tra i 6 e gli 8 anni, che diventa tutta la vita per chi, invece, non sente la necessità di modificare la propria anatomia. Essendo le persone transessuali spesso disoccupate, i costi dell’iter giuridico, poi, sono sostenuti dalla collettività perché coperti dal gratuito patrocinio” spiega Michela Angelini, 31 anni, fondatrice del gruppo che promuove il ddl 405, per un iter giuridico snello e soprattutto omogeneo in tutto lo Stivale. “Siamo in un Paese estremamente difforme per trattamento: a Roma ci sono state sentenze di rettifica anagrafica senza interventi chirurgici, in altri tribunali è obbligatorio almeno eliminare le gonadi, in altri è richiesto l’obbligo di ricostruzione di un apparato genitale esterno” continua l’attivista.
Chi vive in attesa della riattribuzione di genere conosce un limbo doloroso, durante il quale è obbligato a dare spiegazioni sul proprio genere ogni volta che effettua una qualsiasi iscrizione o va semplicemente nello spogliatoio della palestra. Come aveva raccontato a ilfattoquotidiano.it Gianmarco Romanini, vicesindaco di Viareggio (in provincia di Lucca) in attesa della riattribuzione di genere.
“L’aver documenti difformi al proprio aspetto è una fonte certa di transfobia e di continua violazione della privacy, ogni volta che si mostra un documento questo ci denuncia come transessuali e, specialmente in questo momento storico, trovare un datore di lavoro disposto ad assumere una persona transessuale è difficile” ricorda Angelini.
L’iter per la riattribuzione minaccia anche l’indipendenza economica. “Sul nostro blog disegnodilegge405.blogspot.it Stefano, libero professionista, racconta che, in attesa che si compia l’iter giuridico, con oramai un corpo maschile ma i documenti femminili, è costretto a ridurre al minimo i rapporti con i clienti e anche a negare la propria transessualità per mantenere il lavoro” rivela la promotrice del ddl. Che le persone transessuali nel nostro Paese siano molto discriminate è opinione diffusa: lo pensa l’80,3 per cento degli italiani tra i 18 e i 74 anni tra quelli intervistati dall’Istat per il rapporto “La popolazione omosessuale nella società italiana” del 2012. E per quasi 8 italiani su 10 non è accettabile che non trovino lavoro o venga loro rifiutato un affitto a causa della loro condizione sessuale. Eppure – è questa la contraddizione – il 30,5 per cento degli stessi intervistati non vorrebbe averli come vicini di casa.
I casi dei bambini intersex
Le associazioni chiedono alla politica anche di “impedire qualsiasi intervento genitale su bambini nati con condizione intersex/DSD”, cioè disordini della differenziazione sessuale. Questi sono, ad esempio, una inusuale combinazione di cromosomi o variazioni nei genitali, che possono essere in parte maschili e in parte femminili. Una situazione che non necessariamente pregiudica la salute dei neonati, e può essere modificata una volta che abbiano sviluppato un’identità di genere. Accade invece che alcuni medici scelgano di attribuire arbitrariamente un sesso, con l’assenso di genitori poco informati. Gli interventi chirurgici e le terapie ormonali su bambini intersex durano anni e possono essere traumatici, come rivela il documentario XXXY (2000) di Porter Gale & Laleh Soomekh, che dà la parola a uomini e donne il cui sesso è stato deciso alla nascita dai dottori. “Proprio ieri sera parlavo con la madre di una bambina intersessuale (all’anagrafe è obbligatorio dare un sesso ai bambini, anche se questo non è definibile) che ha deciso di non intervenire e di lasciar sviluppare l’identità della figlia autonomamente – conclude Angelini – La prossima settimana conoscerà un’altra famiglia che ha preso la stessa decisione. Ma sono eccezioni”.