La Legge di stabilità chiede alle Regioni tagli per almeno 2 miliardi netti. Per dimensioni, il primo candidato è la sanità. Dove risparmi sono possibili, ma solo come somma di tanti piccoli interventi nel mare della spesa. E richiedono programmazione, impegno e collaborazione da parte di tutti.
di Gilberto Turati (Fonte: lavoce.info)
Le richieste del governo
In attesa di capire quali saranno le proposte, preannunciate da Sergio Chiamparino, che le Regioni porteranno al presidente del Consiglio in settimana, restano sul tavolo i 4 miliardi di tagli (2 netti, se si considera l’aumento del finanziamento al Ssn previsto dal Patto per la salute per il 2015) previsti per il comparto regionale nella Legge di stabilità presentata dal Governo.
Le scaramucce iniziali hanno fatto registrare il solito gioco delle parti: le Regioni trovano inammissibili i tagli, osservando che saranno costrette a ridurre i servizi (in particolare quelli sanitari, ma c’è anche il trasporto locale) o, in alternativa, ad aumentare l’Irap e l’addizionale Irpef. Il Governo replica indicando alle Regioni un’azione sugli sprechi come via maestra per rispondere alle richieste della manovra. Cosa può accadere se il disegno di legge diventerà realtà? Proviamo a costruire qualche ipotesi.
La soluzione populista evocherebbe il taglio dei famigerati costi della politica. Ma le stime disponibili parlano di 1 miliardo di euro complessivi di spesa, includendo anche il personale in servizio presso le giunte. Il rapporto consegnato al Commissario straordinario alla revisione della spesa all’inizio dell’anno, ormai un segreto di Pulcinella, suggeriva che qualcosa si poteva fare, ma le cifre in ballo parlavano di una forchetta tra i 160 e i 270 milioni di euro di risparmi conseguibili nel beve periodo, a seconda che ci si fermasse a quanto disposto dalla legge Monti o si provasse a fare qualcosa di più. Non basta, ma certo sarebbe un bel segnale da parte degli amministratori regionali.
Tagliare la sanità?
Per dimensioni, la spesa sanitaria è il candidato più ovvio ai tagli, perché rappresenta tra il 70 e l’80 per cento delle spese regionali e oggi vale circa 110 miliardi di euro. Alcune considerazioni preliminari: la prima riguarda il preannunciato taglio ai servizi, fra i quali rientra la chiusura di alcuni ospedali, come ha minacciato qualche governatore. Chiedersi se si taglieranno i servizi equivale a chiedersi se ci siano o meno 4 miliardi di sprechi. Ovviamente, nessuno lo sa con precisione; però le stime che circolano da tempo sembrerebbero dire di sì. Per esempio, il recente Libro bianco Ispe-Sanità ha stimato 23,6 miliardi che se ne sono andati nel 2013 in corruzione, sprechi e inefficienze nel Ssn: più di dieci volte tanto quanto richiesto dal Governo.
La seconda considerazione è che le stime disponibili sull’inefficienza dei servizi sanitari sono concordi nella conclusione che non tutte le Regioni sono sullo stesso piano: alcune sprecano più risorse di altre. Il che suggerisce che il riparto dei 4 miliardi non dovrebbe essere fatto con tagli lineari e che lo sforzo maggiore dovrebbe essere richiesto a quelle che sono più lontane dal benchmark (in generale, sono anche quelle sotto piano di rientro, che quindi hanno già negoziato un percorso di riequilibrio dei conti con lo Stato). Basare il riparto sulla parodia dei costi standard prevista dal Dlgs 68/2011 non sarebbe una grande idea, soprattutto se la speranza è quella di portare a casa risparmi. Serve un benchmarking serio, ma anche facile da interpretare per i cittadini e per gli amministratori, qualcosa di simile al “bersaglio” che il ministero della Salute aveva già sviluppato qualche anno fa, per poi metterlo rapidamente nel cassetto.
La terza considerazione è legata alla visione di lungo periodo del servizio sanitario nazionale, che nelle scelte del governo appare un po’ schizofrenica: va bene gli sprechi, va bene il controllo della spesa, però coerenza vorrebbe che l’insieme dei servizi che le Regioni devono offrire rimanga quantomeno invariato. Se lo Stato pensa – ed è legittimo – di inserire fra i Lea la fecondazione eterologa, deve anche pensare a metterci dei soldi in più. Un conto è produrre gli stessi servizi di oggi con una spesa inferiore, un altro è produrre non solo i servizi che si producono oggi, ma anche qualcosa di più domani con meno risorse. Ecco, sarebbe ora di sapere che cosa pensa davvero di fare il governo per il futuro del Ssn.
Difficile risparmiare subito
Se è vero che c’è ancora grasso che cola, e che quindi le Regioni potrebbero tagliare davvero gli sprechi, bisogna domandarsi allora dove potrebbero mettere le mani. Il problema è che i risparmi vanno ottenuti nel 2015 e non tutte le componenti della spesa sanitaria sono facilmente aggredibili nel breve periodo. Le componenti principali sono la spesa per il personale e quella per gli acquisti di beni e servizi. La spesa per il personale può essere ulteriormente compressa, soprattutto se si pensa alla riduzione della capacità produttiva degli ospedali pubblici già realizzata (e in parte ancora da realizzare) con la diminuzione dei posti letto. Gli strumenti sono i soliti: il blocco alla crescita degli stipendi (peraltro già in atto nella pubblica amministrazione ormai da anni) e il blocco del turnover del personale. I risparmi verrebbero tuttavia realizzati solo con molta gradualità; certamente lascerebbero inalterata la necessità di servizi territoriali che anche il Patto per la salute ricordava come una delle priorità.
Relativamente più semplice potrebbe essere l’intervento dal lato della spesa per l’acquisto di beni e servizi. Anche in questo caso gli strumenti sono noti: la centralizzazione degli acquisti, l’adozione di standard per i prezzi di acquisto, la possibilità di rinegoziare i contratti in essere. Il problema però è che in tutti i casi si richiede uno sforzo rilevante da parte dei direttori delle aziende. Ne è un esempio eclatante il caso riportato nei giorni scorsi dai giornali dell’appalto del servizio di pulizie del Cardarelli di Napoli: si è passati da 934mila euro al mese (più Iva) a 707mila con l’applicazione dei prezzi di riferimento previsti dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici e gli appalti, fino a 558mila euro con la nuova aggiudicazione dell’appalto; naturalmente a parità di standard di servizi offerti. A spanne, si arriva a un risparmio per l’azienda ospedaliera di circa 4 milioni di euro all’anno, una piccola parte di quello che viene oggi richiesto dal Governo. È stato ottenuto grazie all’impegno del direttore generale e del direttore dell’Ufficio tecnico dell’ospedale, che hanno subito minacce e hanno persino rischiato il linciaggio.
Portare a casa i 2 miliardi si può, ma ci dobbiamo convincere che possono solo essere la somma di tante piccole gocce nel mare della spesa, che richiedono programmazione, impegno e collaborazione da parte di tutti per essere asciugate. Forse è davvero arrivato il momento di cominciare.