“Eravamo un’allegra brigata di sognatori, ora siamo qui e non molliamo”, garantisce mettendo una diga tra la Leopolda “dove si propone” e la piazza della Cgil “dove si protesta”. “Si protesta contro il governo, contro di me” ma non ci fermeranno. Matteo Renzi apre così la quinta edizione della Leopolda, trasformata in un garage proprio per emulare Steve Jobs e i tanti giovani che, partendo da un’idea, sono riusciti a cambiare il mondo. Senza paura di paragoni, il premier crede ancora di poter cambiare l’Italia. “La Leopolda non è mai stato un partito e nemmeno una corrente. È uno spazio di libertà” dice dal palco. “Il garage è il luogo dove si costruiscono le idee ma anche dove ci sono macchine ferme da troppo tempo”, ha spiegato il leader del Pd. Poi il premier ha dato il via a una serie di filmati delle precedenti dal 2010 al 2013. Quindi ha spiegato perché è nata la Leopolda: ”Pensavamo che l’Italia era casa nostra e che non ce saremmo andati. Volevamo cambiare l’Italia, vogliamo cambiare l’Italia”.
Il premier parla del patto del Nazareno, ricorda che la porta è aperta alla minoranza critica del partito e ribadisce l’ottimismo di poter cambiare l’Italia. “Il patto del Nazareno è un accordo istituzionale. Le regole del gioco si scrivono insieme. Io lo difendo in tutte le salse. Quando avete dei dubbi sulla bontà del patto del Nazareno, ricordate che Minzolini, Razzi e Scilipoti non lo hanno votato – dice Renzi -. Vorrei dire a Pippo Civati che se vuol venire qui è sempre il benvenuto. So che domani ha da fare lo scontro con Pippo era che noi non volevamo la corrente, e credo che i fatti ci abbiano dato ragione. La Leopolda del 2011 mi ha fatto capire che questo paese era scalabile, so che questo termine creerà polemiche ma lo dico: per anni ci hanno raccontato che l’Italia era un paese chiuso, eppure giorno dopo giorno ci rendevamo conto che si potevano cambiare le cose sul serio, presa, rivoltata e cambiata. Sono convinto, e la Leopolda 2011 lo ha confermato, che se c’è spazio per i tecnici e la tecnocrazia è colpa della politica e dei politici: chi crede nella politica quello spazio non lo lascia.
“Noi non perderemo nel nostro disegno di cambiare l’Italia, ma ogni istante capita di prendersi delle palate in faccia, che fanno male. La nostra cultura ha cancellato l’ipotesi del fallimento – aggiunge riferendosi al 2012, quando perse le primarie – Io credo che una delle cose belle della Leopolda 2012 è che ci ha insegnato che si può anche perdere, che è più bello vincere, ma che chi non ci prova non sarà mai fino in fondo se stesso. La sconfitta del 2012 è stata per me una grossa lezione”.
“Piaccia o non piaccia ai gufi a noi è dato il compito di restituire all’Italia la possibilità di un futuro. Abbiamo sconfitto tutti i luoghi comuni della politica, ora c’è da sconfiggere il luogo comune di chi dice che l’Italia non si può cambiare. La sfida della Leopolda di quest’anno è una sfida difficilissima. Ho chiesto di parlare all’inizio per dire: avreste mai detto che alla quinta Leopolda saremmo stati al Governo? Io non avrei neanche immaginato di arrivarci alla Leopolda 5. Quando domenica chiudiamo, chiudiamo con un elenco di cosa da fare, perché chi non sa cosa sia la Leopolda, quelli che stanno fuori da qui, da noi si aspettano che l’Italia – prosegue il premier – si rimetta in moto e se noi saremo bravi alla fine di questa tre giorni dal garage finalmente la macchina si metterà in moto. Resettiamo, non salviamo il file” delle edizioni passate della Leopolda, ha aggiunto, “se siamo qua oggi non siamo qua per dire come siamo stati bravi, c’è un mondo che ha bisogno dell’Italia e l’Italia siamo noi“.
Mezzo Esecutivo parteciperà alla due giorni di dibattiti ed interventi dal palco nella vecchia stazione fiorentina. Alcuni ministri, come Giuliano Poletti, parteciperanno anche ai tavoli di discussione e di confronto con i cittadini, che per il premier sono l’anima della kermesse. Fucina negli anni scorsi, si vantano i renziani, di proposte e idee che poi sono diventate programma di governo. Reduce da Bruxelles e dalla battaglia con l’Ue sui conti pubblici, Renzi si è catapultato alla Leopolda senza neppure passare da casa.
Il difficile rapporto con i sindacati è il simbolo del metodo del premier che non vuole piegarsi ai riti dell’establishment: si ascolta tutti ma alla fine è il governo a decidere. Contro questo stile, oltre che contro i contenuti del Jobs act, la Cgil è convinta di portare in piazza, domani, centinaia di migliaia di persone. E una larga fetta della minoranza Pd, da Stefano Fassina a Pippo Civati, da Cesare Damiano a Guglielmo Epifani, domani sfileranno per le vie di Roma contro le politiche del governo. Renzi, però, non sembra affatto preoccupato dalla contrapposizione né teme che la Cgil offuschi la sua Leopolda o peggio l’attività di governo. “Ho grande rispetto per la manifestazione della Cgil – sostiene – ma il fatto che Vendola la usi per annunciare uno sciopero generale dimostra come quella piazza si stia caricando di grandi significati politici. Quella piazza è di protesta sindacale e politica e io la rispetto ma la Leopolda è un’altra cosa: non si protesta ma si propone”. È inevitabile, osserva il premier, che una piazza sindacale sia anche “contro di me“. Ma non saranno certo le proteste a fermarlo. “È finito il tempo in cui una manifestazione blocca il governo e il paese”, avverte il premier alludendo ai veti alzati in passato dai sindacati contro le riforme dei governi di sinistra.
D’altra parte la Leopolda è la prova plastica del Pd a cui punta il leader dem: trasversale a età e ceti e oltre le ideologie. Un partito della nazione che faccia il pieno di voti e che vada oltre il bacino elettorale tradizionale della sinistra, dove gli iscritti della Cgil facevano una parte da leone. Ma se la Leopolda è il simbolo del Pd di Renzi, spicca l’assenza della sinistra del partito: ci sarà il ministro Andrea Orlando e qualche esponente dei “giovani turchi” ma il resto della minoranza, domani, o sarà in piazza con la Cgil o, come Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, altrove. Ma non a Firenze.