L’antefatto: Daniele Baldoni insegnava danza alla scuola ‘Dalmazio Birago’ di Tuoro, in Umbria, e rivestiva questo incarico, come docente esterno da diversi anni. Normalmente si accede a questi incarichi attraverso la presentazione di un progetto che viene valutato dagli organi scolastici competenti e del curriculum di chi li propone. I fatti ci dicono che Daniele aveva titoli e un’esperienza tali che giustificavano la sua presenza in quel corso.
Fino a quando alcune famiglie hanno deciso che l’omosessualità del maestro non era consona con un ‘corretto’ stile di vita e, di conseguenza, con il suo lavoro. Un po’ come quando, ai tempi di Mussolini, si decise che essere ebrei era incompatibile con l’essere anche insegnanti. Se sei ‘frocio’, in altre parole, non puoi fare il maestro. Di danza, nel caso specifico. Roba da far accapponare la pelle anche agli uomini di Neanderthal, se ancora esistessero. Pensiero irricevibile già negli anni novanta, come capì lo stesso Gianfranco Fini quando venne aspramente criticato per aver detto una cosa simile in una puntata del Maurizio Costanzo Show.
Cosa è successo da allora a oggi? I genitori del paesino umbro non sono stati raggiunti da internet, dal web, dalle scoperte di scienza e psicoanalisi, che dimostrano che essere gay è un fatto naturale e non interferisce con lo sviluppo psichico degli/lle adolescenti? Oppure c’è dell’altro?
Per rispondere a questa domanda, occorre ritornare a una delle due questioni d’apertura, ovvero: la reazione che ha causato in Italia il ddl contro l’omofobia. Da una parte quel provvedimento non è mai stata approvato e dall’altra ha stabilito, per il solito paradosso italiano, che i pensieri discriminatori rientrano nell’ambito della “libertà di pensiero”: un insegnante di religione potrebbe perciò dire, tutelato dallo Stato, che essere gay è una malattia che si deve curare.
I vari gruppuscoli di omofobi, dopo aver ottenuto una vittoria sul dato culturale – sdoganare l’odio sociale contro le persone Lgbt almeno sotto il profilo verbale – si sono nel frattempo organizzati per impedire che la proposta venga approvata e agisca almeno sui crimini d’odio e sulle aggressioni fisiche.
I presupposti culturali che hanno dunque portato a questo increscioso incidente, stanno lì. In quella legge, nella sua genesi, nel suo sviluppo e in ciò che ha prodotto a livello di (sub)pensiero collettivo condiviso. Se i suoi relatori avessero fatto approvare un testo che dice, nero su bianco, che l’omofobia è sempre qualcosa di cui vergognarsi – sia a livello verbale, sia attraverso minacce e violenze – oggi forse non staremmo qui a parlarne.
In secondo luogo, l’omofobia produce anche alcuni effetti pratici ai danni di tutti e tutte. Prendiamo la piccola comunità scolastica di Tuoro: chi voleva far danza a scuola non potrà più farla (la dirigenza, per solidarietà all’insegnante, ha sospeso il corso), le classi interessante non avranno una figura professionale qualificata a un costo accessibile, l’offerta formativa della scuola sarà peggiore. Meno servizi quindi, e chi vorrà far danza pagherà di tasca sua. E tutto questo per i pruriti di qualche cavernicolo che non riesce a scindere tra ‘peccato’ – che è sempre fatto privato – e condizioni personali di un individuo, che sono tutelate da un articolo della Costituzione, piaccia o meno al vescovo di turno.
La discriminazione usa sempre i metodi più banali e brutali, sempre violenti e ai limiti del lecito. Forse è per questo che nei paesi più civili del nostro, essa viene sempre punita. L’Italia è indietro anche in questo. Per tale ragione, Daniele Baldoni ha reagito nell’unico modo che gli rimaneva: mandare al diavolo le famiglie omofobe per difendere la sua dignità. Proprio perché lo Stato è assente, in questioni come questa, e ha permesso che a rimetterci ci fossero un bravo insegnante, le famiglie per bene e ragazzi e ragazze che hanno la colpa di vivere in una società che discrimina chi viene visto come diverso. Gli Adinolfi e le Miriano del caso, Sentinelle e affini, possono essere fieri di tutto questo.