Bagno di sangue in Borsa per i due istituti chiamati a rafforzare il capitale per complessivi 2,9 miliardi di euro. Siena crolla del 21,5%, Genova del 17
Piazza Affari in rosso con le banche bocciate agli esami della Bce e i dati deludenti sul clima dell’economia in Germania che hanno trascinato al ribasso tutte le Piazze del Vecchio Continente. Dopo un’apertura in positivo, la Borsa milanese ha viaggiato tutto il giorno in rosso e ha chiuso a -2,4 per cento in netto peggioramento rispetto alle altre Borse europee dove si è segnalato in particolare il rosso di Francoforte (-1%) su cui hanno pesato le indicazioni arrivate in mattinata dall’indice tedesco Ifo che misura la fiducia delle imprese in Germania e a ottobre è sceso a 103,2 punti, deludendo le attese degli analisti. Niente di paragonabile, in ogni caso, al tracollo di Banca Monte dei Paschi di Siena e Carige che sono colate a picco fin dall’apertura con crolli superiori al 10% e numerosi stop al ribasso. A poco è servito lo stop di Consob alle vendite allo scoperto sui titoli di Siena: l’istituto toscano ha toccato il fondo a 0,78 euro, con una perdita del 21,5 per cento. E’ andata un po’ meno peggio a Carige che, tra una sospensione e l’altra, ha perso il 17,19 per cento.
I riflettori restano comunque puntati su Siena, chiamata a rafforzare il capitale per 2,1 miliardi di euro a breve distanza dalla sofferta ricapitalizzazione da 5 miliardi della scorsa estate che però non era bastata a restituire tutti gli aiuti di Stato ricevuti, contrariamente agli impegni presi con Bruxelles. Da dove fanno sapere che l’Antitrust Ue e le autorità italiane “sono in contatto”, perché Mps dovrà non solo presentare il suo piano alle autorità di supervisione ma anche proporre cambiamenti al piano di ristrutturazione negoziato con la Commissione che a sua volta dovrà riesaminare il piano. La banca, che ha scelto Ubs e Citigroup come consulenti per esplorare “tutte le opzioni strategiche”, dovrà valutare se chiedere altri soldi ai soci, emettere bond convertibili in capitale o vendere i crediti in sofferenza (in corsa per acquisirli ci sarebbe anche il fondo Algebris del finanziere renziano Davide Serra) e la finanziaria Consum.it, che eroga credito al consumo. Ma il vicedirettore di Bankitalia Fabio Panetta domenica ha indicato una strada ulteriore: “Un’eventuale operazione di concentrazione che coinvolgesse Mps” troverebbe via Nazionale “estremamente felice, se fosse un’operazione in grado di rilanciare l’offerta di credito all’economia reale e rafforzare la solidità della banca”. Insomma: all’orizzonte, come già previsto da Mario Draghi a luglio per gli istituti “deboli”, potrebbe esserci una fusione con un altro istituto.
Lo stesso amministratore delegato di Mps Fabrizio Viola, intervistato lunedì da Il Sole 24 Ore, non esclude la possibilità di “nozze”, anche se “ad oggi non abbiamo in corso trattative con nessuno. Né mi sembra corretto parlare di soggetti terzi”. Quanto all’esito degli stress test, nel contesto del salvataggio della banca Viola si dice soddisfatto: “Penso che senza il lavoro fatto negli ultimi trenta mesi, la banca avrebbe un deficit di capitale che sarebbe un multiplo di quello calcolato oggi. Abbiamo superato l’asset quality review con un capitale Cet1 del 9,5%, superiore oltre che alla soglia Bce anche a quella prevista dal piano di ristrutturazione. La situazione di partenza era veramente compromessa e tale da imporre un totale cambiamento del management e della governance”.
Intanto i sindacati Dircredito, Fabi, Fiba Cisl, Fisac Cgil, Sinfub, Ugl e Uilca hanno chiesto l’apertura di un “confronto inderogabile” sulle prospettive strategiche e sui progetti di modifica del piano di ristrutturazione e del piano industriale di Mps. “L’azienda non può sottrarsi a tale necessità”, evidenziano le sigle sindacali che affermano come il confronto sia “una dovuta assunzione di responsabilità nei confronti dei lavoratori che quotidianamente, in una situazione di forti pressioni, in presenza di decurtazioni salariali molto significative ed in assenza, tra l’altro, di risposte sull’entità delle retribuzioni dei top manager, svolgono la loro opera con professionalità e passione”. I sindacati chiedono inoltre all’azienda “di fornire tempestivamente ai colleghi impegnati nella relazione con la clientela ogni supporto ed ogni informazione utile a svolgere tale compito nella maniera più adeguata”. “Chi dirige l’azienda – concludono – prenda atto che la gestione autoritaria ed autoreferenziale ha prodotto solo effetti negativi sotto il profilo organizzativo, di clima interno e soprattutto di risultati”.