Oggi, lunedì 27 ottobre, l’Italia affronta, per la seconda volta dal 2010, l’esame periodico della situazione dei diritti umani nel nostro Paese, condotto dal Consiglio dei diritti umani Onu. Come promesso nel post precedente, attendendo di potere analizzare il rapporto 2014, vedremo innanzitutto cosa diceva il Consiglio sull’Italia del 2010.
Il compito del Consiglio è di verificare il rispetto da parte dell’Italia dei propri obblighi legali nel campo dei diritti umani. Quali sono gli obblighi dell’Italia? Trovate qui l’insieme dell’informazione Onu pertinente, compreso lo stato delle ratifiche degli strumenti internazionali che ci legano, i rapporti degli esperti e dei gruppi di lavoro Onu sul nostro paese e quelli, periodici, che l’Italia è tenuta a sottoporre ai vari organismi che vegliano al rispetto di specifici trattati e convenzioni.
Nel 2010, l’Italia aveva già ratificato la grande maggioranza dei testi internazionali in materia di diritti umani; ma non il Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura, che comporta l’istituzione di un meccanismo nazionale indipendente di prevenzione della tortura, ed istituisce un sistema internazionale d’ispezione dei luoghi di detenzione, ispirato al modello del Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Nel rapporto, l’Italia sostiene di non potere peraltro ratificare la Convenzione sui diritti dei lavoratori migranti, per il motivo che essa non stabilisce distinzioni tra i lavoratori migranti regolari ed irregolari. Al 2010, l’Italia non si era neppure dotata di un’istituzione nazionale indipendente per la protezione dei diritti umani. A titolo di paragone, nello stesso anno, tali istituzioni esistevano già in molti paesi, dal Messico alla Mongolia, dall’Iran al Niger, alla Spagna.
Entrando nel merito, l’Italia riconosceva le proprie difficoltà nell’integrare le popolazioni rom e sinti e nell’impedire episodi d’intolleranza, ma giustificava lo smantellamento dei campi non autorizzati con «esigenze di condizioni di vita in conformità con la legge». Il nostro governo affermava che l’istituzione di associazioni di privati cittadini per il pattugliamento dei municipi era soggetta a registrazione obbligatoria presso le prefetture competenti e serviva a contribuire all’ordine pubblico, considerato il massiccio aumento degli immigrati. L’Italia, diceva il governo, era in prima linea nel salvataggio in alto mare dei migranti; rispettava i loro diritti nelle procedure di espulsione; ed aveva fatto molti sforzi per proteggere i lavoratori migranti attivi nell’economia informale. Quanto ad incidenti come la rivolta di Rosarno ad inizio 2010, un’investigazione giudiziaria era stata avviata.
Il governo riaffermava il proprio impegno in favore dell’uguaglianza di genere e contro le discriminazioni fondate su sesso, razza, origine, religione, pensiero, età od orientamento sessuale. Ricordava le misure adottate per assicurare la protezione di giornalisti, vittime di atti intimidatori da parte di organizzazioni criminali, nonché la recente adozione di un piano di costruzione di nuove prigioni, oltre a misure dedicate alla riduzione della popolazione carceraria.
Nel susseguente dialogo interattivo, diversi Stati esortavamo l’Italia ad aderire al Protocollo Facoltativo alla Convenzione contro la tortura ed a ratificare la Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti; e molti ci incitavano ad istituire, infine, un’istituzione nazionale indipendente per la promozione e la protezione dei diritti umani.
Quasi tutti i membri del Consiglio dei diritti umani si inquietavano per la xenofobia contro migranti, africani e musulmani, e per la discriminazione nei confronti di Rom e Sinti, favorita dagli stereotipi razziali veicolati da mass media e politica. La Norvegia si preoccupava dell’aumento dell’intolleranza contro lesbiche, gay, bisessuali e transgender. L’Uzbekistan notava che la definizione della tortura non era ancora stata integrata nella legislazione nazionale, mentre avvenivano episodi di maltrattamenti da parte di agenti dell’ordine. Il Canada e la Norvegia ricordavano che Freedom House considera i media italiani solo «parzialmente liberi», mentre Iran e Francia criticavano lo scarso accesso delle donne ai posti politici e pubblici, le differenze di stipendio tra uomini e donne, e il persistente problema della violenza contro le donne.
Al termine del dialogo interattivo il Consiglio dei diritti umani dell’Onu raccomandava all’Italia una serie di azioni volte a migliorare la situazione osservata, ed in particolare:
Prossimamente vedremo quel che Berlusconi, Monti, Letta ed infine Renzi hanno fatto di queste raccomandazioni del 2010, ed in che stato si trovano i diritti umani in Italia alla fine del 2014; attenderemo a tale scopo che sia reso pubblico il rapporto del secondo esame periodico dell’Italia, in corso oggi, 27 ottobre 2014, al Palais des Nations di Ginevra.