L’associazione Tutti a scuola (www.tuttiascuola.org) ed Il Fatto Quotidiano hanno lanciato una campagna per raccogliere segnalazioni di scuola negata in merito alla situazione attuale di alunni non autosufficienti, l’obiettivo è sensibilizzare alla necessità di cura e di assistenza alla disabilità. Se fino a ieri, da parte della politica, era evidente un disinteressamento lesivo della dignità delle persone in questione, dei loro famigliari e dei loro amici, in lotta quotidiana con l’assenza o la carenza di quanto dovrebbe essere garantito, oggi non si mostra certo di cambiare direzione, ma di continuare imperterriti nel lasciarli soli.
L’occasione per la campagna è data da un taglio di fondi di 100 milioni di euro per le non autosufficienze nella nuova legge di Stabilità. Con questo post cerco di dare il mio modesto contributo con l’aggiunta di alcune considerazioni personali.
Come essere umano mi vergogno ad essere qui a scrivere di diritti su cui non dovrei scrivere perché non dovrebbero essere in nessun caso messi in discussione, ma dati per scontati. Come siamo finiti a dover chiedere maggiore e migliore assistenza per i nostri disabili? Sembra inconcepibile che in un paese civile succeda questo, ma succede, quindi forse dovremmo rivedere la nostra idea di collocarci in un paese che possa essere definito tale.
Mi vorrei indignare e arrabbiare, se l’indignazione e la rabbia non fossero ormai sentimenti che ci accomunano tutti ogni qual volta (e non è certo cosa rara) le politiche attuate vanno a sfavorire i cittadini onesti che chiedono solo di lavorare, di avere uno stipendio stabile che gli permetta di andare incontro al futuro senza angosce e di essere aiutati in caso di reale bisogno o difficoltà.
Mi vorrei indignare e arrabbiare, se avessi anche solo una lontana sensazione che la mia indignazione e la mia rabbia di cittadino possano essere raccolti da una classe politica attenta, ma che invece non fa altro che disinteressarsi a ciò che non attiene il suo guadagno e la sua sopravvivenza.
Mi vorrei indignare e arrabbiare, se la constatazione non fosse quella di sentirsi, come cittadino, quotidianamente preso in giro con proclami e promesse che non trovano mai riscontro in azioni concrete tese verso il miglioramento di una società che non è più in grado di reggere la situazione attuale, ma che continua a farlo in virtù non so di quale resistenza alla disperazione.
E allora mi chiedo cosa ne faccio della mia indignazione e della mia rabbia se poi, comunque essa si esprima, il governo andrà avanti con i suoi tagli e i suoi attacchi ai diritti sociali affermando che dialogherà con tutti, ma che non cambierà niente di quanto in programma (bella idea del dialogo).
Quello che ci stanno togliendo è la capacità di agire, ma soprattutto di re-agire, abituandoci ad una emozione che stronca qualsiasi indignazione e rabbia: l’impotenza. Sentire che qualsiasi azione si faccia non servirà a cambiare le cose.
Non credo però che il mondo sia immutabile, né che la nostra classe politica è al governo perché ce l’ha messa qualcun altro che non siamo noi, allora indigniamoci, arrabbiamoci, manifestiamo, ma ricordiamoci sempre che le parole sono una cosa e le azioni un’altra, dubito che finché non avremo chiara la differenza riusciremo mai a migliorare il nostro paese, ci lasceremo abbindolare dai nuovi showman di turno, giganti della comunicazione, ma nani della politica come qualcuno ebbe a definire di un nostro ex-premier.