Cultura

Festival Latitudini, la drammaturgia tra Sicilia e Sardegna

Oscena” ha un nome che potrebbe sembrare scabroso, o quanto meno pruriginoso. Una O tranciata, come quelle scandinave, per identificare tutto ciò che si muove sul palcoscenico, in mezzo alle tavole di un teatro, quello che pullula tra i velluti ma anche l’atmosfera che si respira, di parole, di passi, di gesti, quell’incrocio d’amorosi sensi che si instaura tra la platea ed il testo, quell’amore d’ascolto tra occhi e bocche, in quel racconto senza fine che è il teatro. Oscena è una brillante idea del Teatro Massimo di Cagliari Stabile della Sardegna (è in atto il bando per la nuova direzione artistica), e della compagnia di ricerca Cada Die Teatro (che ha sede nel gradevole, funzionale e attrezzato Teatro La Vetreria nel quartiere Pirri) che in sinergia hanno organizzato un plot per portare nell’isola di Gramsci, le drammaturgie provenienti da altre regioni italiane.

Una bella apertura ed occasione, uno screening, una presa di visione e di coscienza. Se nella prima edizione era stata affrontata la Lombardia (furono invitati Teatro Inverso, Compagnia Dionisi, Sanpapié, Animanera, Aia Taumastica), lo scorso anno quella toscana (furono chiamati a raccolta Guascone Teatro e i Gatti Mezzi, i Sacchi di Sabbia, Teatro Sotterraneo, gli Omini, IF Prana, Gogmagog), quest’anno è toccato alla Sicilia (i “padrini”, termine scivoloso quando si parla della terra di Cosa Nostra, della manifestazione erano Luigi Lo Cascio e Spiro Scimone), in uno scambio insulare, così diverse, così separate dal “Continente”, idealmente e metaforicamente e simbolicamente, così sofferenti delle stesse lontananze strutturali. Non era uno scontro, una gara, una partita, ma un confronto, uno scambio proprio perché l’intenzione da parte del progetto messinese Latitudini è quello di portare nell’isola dell’Etna l’anno prossimo testi e testimonianze da Cagliari e dintorni in un ponte ideale che prosegua nel tempo.

I nipoti di Pirandello e Scaldati. Tra i siciliani certamente ci hanno favorevolmente colpito i Sutta Scupa, gruppo palermitano fondato nel 2006 e neovincitori del Premio Museo Fratelli Cervi di Reggio Emilia. Il loro “Chi ha paura delle badanti?” è stata una vera sorpresa per freschezza, intensità, dolcezza ed amarezza, cattiveria e acidità. Due uomini rumeni si fingono donne-badanti per una ragazza in sedia a rotelle. Tutti conoscono la bugia, chi la mette in atto e chi la dovrebbe assorbire; recitano dei ruoli e sono gli uni schiavi e servi degli altri, legati a doppio filo dalla costrizione, dal senso di colpa, dalla mancanza di amore, la sottomissione e la violenza psicologica innescata, la vessazione e la frustrazione dei primi nei confronti della ragazza-kapò (Simona Malato fulminea ed incisiva, feroce e crudele), quest’ultima verso la madre che l’ha relegata in questa casa museo, gabbia dorata.

Interessante, e forse ancora degno di nota anche a distanza di un’era geologica politicamente parlando, il “GiOtto” di Babel Crew, anche questi palermitani, dove il nome dell’artista trecentesco diventa il G8 genovese, entrambi delineati con disegni sotterranei fulgidi e mirabili. Giuseppe Provinzano in cinque stazioni da via crucis (che alla fine porteranno alla creazione di una stella a cinque punte con il nastro dei lavori in corso ed un simbolico estintore come totem al centro) ci riporta, con forza e durezza, a quei giorni di luglio 2001. E’ il suo cavallo di battaglia e Provinzano governa la materia passando dall’attivista pacifista al black block fino al carabiniere Placanica, ad ognuno dà fiato e voce, senza niente togliere, senza giudizio, senza colpe a priori, immerso nelle fotografie di quei maledetti attimi sotto la Lanterna.

Un viaggio multimediale quello del catanese Turi Zinna, in “Esercizi di prosa ballabile”, che tra filmati in stile Sin City, fumetti deformati e ricomposti e modificati, con un tappeto sonoro che diviene concerto di elettronica, lui furetto saltellante ed instancabile spiega acido e ironico come Catania è raccontata dai media e dalla stampa. Corre sul posto, si agita, s’innalza, la sua è una ricerca sul linguaggio, formale e rigoroso, quasi un rap, disperato, arrabbiato contro quelli che dicono che la mafia nella città dell’Etna non esiste. Techno, jazz e racconto si fondono (la durata è debordante però) ed arriva potente come marea la cappa che, in quella terra più che altrove, ammorba ed aggredisce qualsiasi intellettuale e ogni pensiero critico.

Tra le produzioni sarde invece, promosse e prodotte dal gruppo Cada Die, siamo rimasti affezionati a “Più veloci di un raglio”, poetica e colorata fiaba in versione moderna, tra principesse, asini scalcinati, tra la “Samarcanda” di Vecchioni e il ronzinante di Don Chisciotte, tra La Bella e la Bestia ed incantesimi in un gramelot musicale che apriva metafore esistenziali per il fanciullino nascosto sotto le sovrastrutture di ogni adulto. Sardegna-Sicilia non si ferma qui. Il mare è un ponte non una distanza.