Come diceva Totò: “Ma mi faccia il piacere!”. E potremmo chiuderla qua. Invece è bene aprire una riflessione accorta.
L’art. 3 Cost. sancisce che “Tutti i cittadini (…) sono uguali davanti alla legge” e tale sacro principio di uguaglianza viene ricordato appeso al muro in tutte le aule di Giustizia. Corollario di esso è poi il principio (generale) di “ragionevolezza” in virtù del quale la legge deve regolare in maniera uguale situazioni uguali ed in maniera diversa situazioni diverse, con la conseguenza che la disparità di trattamento trova giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate. Sicchè come osservano i giudici costituzionali: “Il principio di uguaglianza è violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in eguali situazioni” (Corte cost. sent. n. 15/1960) e “poiché l’art. 3 Cost. vieta disparità di trattamento di situazioni simili e discriminazioni irragionevoli” (Corte cost. sent. n. 96/1980).
Peccato che tale principio venga costantemente violato e vilipeso, con un tasso di ipocrisia talmente elevato, in ogni ambito (sociale, economico, culturale: dal lavoro al fisco, dalla legge penale a quella civile), da risultare quasi imbarazzante solo rammentarlo. Sarebbe come ricordare i colori della nostra bandiera, già noti a tutti.
Esiste infatti un Paese occidentale più pervicacemente disuguale del nostro? Il principio di uguaglianza viene innanzitutto violato dal legislatore e ciò per vari motivi che vorremmo raccontarvi e in parte svelarvi: intenzionalmente per malafede (lobby occulte, di malaffare etc.); per manifesta incapacità di legiferare (i nostri legislatori non sono certo quelli di decenni fa); per motivi politici (accattonaggio di voti e di consensi). Ovviamente questo avviene a più livelli, da quello centrale a quello territoriale (regionale, provinciale, comunale), sino a quello non territoriale demandato ad Enti con potestà normativa (Inps, Agenzia delle Entrate, Banca d’Italia etc.). Una pletora (più accozzaglia, direi) di legislatori, raramente all’altezza del compito assegnatogli, ma assunto vuoi perché eletti dai partiti (che impongono il regime partitocratico, sempre di più governato dai segretari-principi, che usano le c.d. primarie come nero di seppia per confondere), vuoi perché nominati, sempre dai partiti. Elezioni e nomine che non corrispondono mai al criterio del merito (parola invocata con abuso e ignominia in Italia, come dimostra ancora da ultimo l’attuale premier che ha piazzato i suoi ‘soldatini di latta’ ovunque, non certo per governare in modo illuminato e riformista ma per controllare i suoi soldatini, secondo schemi di vecchia politica).
Legislatori che fanno il bello e cattivo tempo, al pari dei tiranni di un tempo, poiché contano sull’assoluta certezza che tali illegittimità (violando il principio di uguaglianza) verrebbero censurate solo a distanza di molti anni (pur se con effetto retroattivo) ma i cui effetti disastrosi (ma assai benevoli per i legislatori farlocchi) rimangano oramai di fatto immutabili. Infatti le scure della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato (e in diversi ambiti, pure delle Autorità Garanti) intervengono spesso a distanza di molti anni. I “legislatori” contano dunque su una assoluta impunità temporale (ed anche contabile, atteso che raramente saranno poi chiamati dinanzi alla Corte dei Conti, a rendere conto dei loro misfatti) ed è per questo che hanno sempre avuto interesse a garantirsi l’impunità attraverso una giustizia inefficiente. Infatti se la giustizia italiana fosse efficiente, celere e veramente autonoma, noi avremmo avuto (e avremmo oggi) un altro Paese, un’altra storia. Avremmo un Paese fondato sulla legalità sostanziale corrispondente pure ad una diversa legalità formale, in cui regnano la certezza del diritto e la certezza della pena. Avremmo un basso livello di corruzione, avremmo un alto livello di efficienza della Pubblica Amministrazione, avremmo consumatori tutelati. Avremmo dunque un debito pubblico pari alla metà o quasi, avremmo un futuro per generazioni intere, avremmo un livello di benessere e di felicità elevato.
Invece abbiamo un Paese immerso nella disperazione, governato dall’ologramma di Berlusconi, che dopo 6 mesi promette l’esatto opposto di ciò che dispone, con un popolo di creduloni che ancora si illude.
La giustizia è la chiave di volta di tutto ciò e la riforma reale di essa è un passaggio fondamentale per darci un futuro. E’ vitale renderla efficiente (nei tempi), autonoma (non trasformandola certo in un potere incontrollabile ma mantenendola distante dalla politica), equilibrata, uniforme (oggi è l’opposto), accessibile (nei costi e nelle modalità). Diversamente la politica continuerà impunemente a dominare le nostre vite.