Primarie del Pd in Liguria il 15 dicembre? No, grazie. La base del partito ligure alza barricate contro la proposta di scegliere il candidato governatore (del Pd, non della coalizione) alla metà di dicembre. Scenario che piace al governatore uscente, Claudio Burlando e alla sua pupilla, Raffaella Paita, candidata della prima ora in testa ai sondaggi (ufficiosi). E fa infuriare la base che teme la diserzione di massa di fronte ad una chiamata alle urne intempestiva e provocatoria per una città – e un elettorato – prostrati dall’alluvione del 9 ottobre scorso. I segretari dei circoli cittadini si sono autoconvocati e hanno detto, chiaro e tondo, che non se ne parla. Michela Fasce, segretaria del circolo del Centro Storico, l’ha messa giù dura: “Se anche volessimo farle, non troveremmo i volontari per allestire i seggi. La gente chiede risposte tempestive all’emergenza provocata dall’alluvione”. Conclusione unanime: le primarie vanno rinviate o addirittura cancellate.

I segretari dei circoli si sono autoconvocati e hanno detto no alle primarie il 15 dicembre

A Roma però coltivano pensieri del tutto diversi. In settimana salirà a Genova il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini e porterà l’invito (eufemismo) a stringere i tempi. Primarie a dicembre, come desidera Burlando, renziano della seconda ora ma evidentemente con buoni agganci con Matteo Renzi. A sparigliare (forse) la carte in tavola potrebbe essere il sindaco di Savona, Federico Berruti, ospite della “Leopolda” (è un renziano ante-marcia). Lo hanno visto chiacchierare fitto con Lotti: Novità in vista? “Non è che Lotti abbia come primo pensiero le primarie in Liguria”, risponde Berruti a ilfattoquotidiano.it. “Parlare di primarie con quello che è accaduto a Genova mi mette in difficoltà. Le primarie sono uno strumento democratico ma non debbono diventare un dogma. Se si verificasse una convergenza su di un nome condiviso si potrebbe evitarle”. Ipotesi che non sembra affatto in campo.

Berruti dice di aver provato delusione quando si è ritirato dalla corsa, prendendo atto che la sua richiesta di discutere sulla discontinuità dalla politica della giunta Burlando era caduta nel vuoto. Ora ci riproverà? “Non lo so. Vorrei anzitutto che le regole per le candidature fossero semplificate. Quanto alla data, mi rimetterò al giudizio dei compagni genovesi. La priorità è fare in modo che dopo le primarie i cittadini vadano numerosi alle urne”.

La confusione è grande sotto il cielo genovese. Ballano troppe incognite, anzitutto sui nomi. Raffaella Paita, l’outsider Villa, l’UdC Tovo. Il segretario regionale Lunardon resta nel limbo, si fanno i nomi del deputato Tullo e del ministro Orlando. Se prevarrà l’accelerazione (primarie il 15 dicembre) le riserve andranno sciolte tra due settimane al massimo. E i bluff saranno visti tutti.

Il Pd intanto è alle prese con le strettoie della nuova legge elettorale. Ad agosto era abortito l’accordo Pd-Fi per cancellare il listino, assegnando 8 consiglieri come premio di maggioranza alla lista vincente. Pd e Fi avevano ripiegato sulla vecchia legge elettorale con un premio di maggioranza di 6 consiglieri (sui 30 totali) alla coalizione vincente. I sei però non sarebbero stati scelti dal governatore, come in passato, ma pescati fra i 6 primi non eletti. La Lega Nord si era messa di traverso e nell’ultima bozza partorita era previsto un premio di maggioranza del 55% senza doppio turno né doppie preferenze di genere e il conteggio dei resti su base proporzionale con 16 consiglieri assegnati a Genova, 6 a Savona e 4 ciascuno a Imperia e La Spezia. Ancora la Lega sugli scudi con la minaccia di sollevare il quesito di incostituzionalità di una legge che avrebbe riprodotto, in sedicesimo, il famigerato Porcellum. “Niente più listino o al massimo un listino di soli 4 nomi e nessun assessore scelto al di fuori degli eletti”, è stato l’ultimo ukaze pronunciato dal segretario regionale del Carroccio, Edoardo Rixi. Il Pd ha risposto minacciando la revisione dello Statuto regionale che prevede la maggioranza qualificata dei due terzi per approvare la legge elettorale. Se bastasse la maggioranza semplice, la Lega perderebbe ogni potere di interdizione. Se si andrà alle urne il 15 marzo 2015 non ci sarà tempo per cambiare lo Statuto.

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