Sul nostro sistema pensionistico, come su quelli di altri paesi “cicale” sono piovute per anni critiche feroci e annunci allarmistici che hanno portato a frequenti e successive riforme; tra i più critici verso il nostro sistema pensionistico sono stati da sempre la Banca Centrale Europea, la Commissione Europea e il Fondo Monetario Internazionale che ancora oggi non sembra sazio di sacrifici pensionistici in Italia.
Tutti si ricorderanno che la ministra Fornero alla fine del 2011 mise mano (lo voleva l’Europa) ai due cardini principali del nostro sistema, abolendo in via definitiva il calcolo retributivo e aumentando l’età pensionabile, portandola in prospettiva a 67 anni; il governo del quale essa faceva parte provvide poi anche alla de-indicizzazione delle pensioni superiori a 1.500 euro lordi/mese, in ciò prontamente emulato dal seguente Governo Letta (anche qui lo chiedeva l’Europa). Le tre misure sono state pubblicizzate, oltre che come necessarie a evitare il collasso della finanza pubblica, anche come adeguamenti a norme previdenziali “ideali”, anche se mai esplicitate nel dettaglio.
Il buon senso suggerirebbe che chi critica un sistema ne abbia in essere uno migliore o comunque con caratteristiche molto diverse, dato che sembrerebbe strano venissero dati suggerimenti in contrasto con le proprie pratiche; suonerebbe infatti dubbio l’invito a guidare con prudenza da parte di un pirata della strada oppure quello a mettersi a dieta da parte di un obeso.
Andando a scavare nei meccanismi dei piani pensionistici della Comunità Europea si rimane invece fortemente “delusi” perché il sistema previdenziale dei suo dipendenti è basato sul retributivo, ha età pensionabili più basse delle nostre e coefficienti di rivalutazione da leccarsi i baffi.
I funzionari della Comunità Europea ricevono come pensione per ogni anno di servizio, l‘1,8% dell’ultima retribuzione base; un po‘ meno del famoso 2% che il nostro retributivo garantiva per le retribuzioni basse e medie, ma il doppio di quello 0,9 % che lo stesso calcolava per le fasce di reddito alte (per intendersi quelle delle pensioni che qualcuno insiste a chiamare d’oro senza volere porsi il problema di quanti contributi ci siano a monte a giustificarle); il fatto poi di utilizzare l’ultima retribuzione base e non la media degli ultimi cinque e/o dieci anni di lavoro come faceva il nostro retributivo crea una differenza più che sostanziale, rendendo il sistema della Ue molto più premiante (o privilegiato che dir si voglia) rispetto al nostro defunto retributivo che tanti strali si attirava.
La pensione di un funzionario europeo ha un tetto massimo pari al 70% dell’ultima retribuzione, ma considerando che il nostro tetto era sì dell’80%, ma era calcolato sulla media delle retribuzioni dell’ultimo quinquennio e/o decennio lavorativo, ancora una volta il sistema in essere per i funzionari Ue si dimostra assai più generoso di quanto non fosse il nostro retributivo; il funzionario Ue dovrebbe, poi, andare in pensione a 66 anni di età, ma può farlo precocemente, a partire dall’età di 58 anni, con penalizzazione del 3,5% per ogni anno di anticipo, cosa che da noi non si vuole assolutamente introdurre. Le pensioni erogate dalla Comunità Europea sono, infine, indicizzate a ogni mese di Luglio al potere di acquisto mediante una formula complessa che tiene conto degli indici al consumo dei vari stati e, nel dubbio che un funzionario possa trovarsi in difficoltà in caso di inflazione galoppante, è previsto che “in caso di variazione sensibile del costo della vita tra Giugno e Dicembre” venga fatta una rivalutazione intermedia a Dicembre (!); nulla a che vedere con il blocco della indicizzazione che sembrerebbe una prassi consolidata per le pensioni italiane, al lordo di futuri veti da parte della Corte Costituzionale.
Utilizzando i dati di cui sopra, è facile mettere insieme un raffronto almeno approssimativo per diversi livelli di retribuzione, come da tabella seguente.
Ipotizzando che le retribuzioni, sia in Italia che in Ue siano aumentate del 3% all’anno negli ultimi 10 anni di lavoro, per redditi finali sino a 40.000 euro lordi annui e anzianità di servizio di 40 anni le due simulazioni danno prestazioni pensionistiche quasi identiche all’uscita dal lavoro; salendo le retribuzioni la differenza a favore di quelle Ue cresce fino a diventare enorme per retribuzioni finali decisamente elevate.
Peggio va poi ipotizzando un aumento del costo della vita del 3% all’anno e una de-indicizzazione reiterata delle pensioni Italiana, perché in quel caso a 3 anni di distanza dalla cessazione del lavoro la pensione Ue mantiene il suo potere di acquisto in termini reali mentre quella italiana lo perde e alla fine le differenze diventano già apprezzabili per pensioni dell’ordine di circa 1.700 euro lordi/mese e abissali per le pensioni più alte.
Premesso a questo punto che in un’ottica previdenziale canonica il sistema contributivo appare il più corretto e che eventuali aggiustamenti assistenziali alle pensioni contributive troppo basse dovrebbero essere fatti, ma dall’esterno del sistema previdenziale (per intenderci: dalla fiscalità generale), la considerazione però che viene spontanea è che uno degli organismi che è stato più martellante sulla troppa spesa pensionistica italiana utilizza un sistema che elargisce privilegi non contributivi; proprio quelli che, si diceva per l’Italia, causavano il dissesto del sistema. Come coerenza non c’è male e considerando che le pensioni Ue vengono pagate attingendo ai contributi delle nazioni alla comunità (in soldoni: dalle tasse dei cittadini) non si capisce come mai i pensionati italiani, ma anche di altre nazioni, debbano tirare la cinghia mentre continuano a pagare i privilegi dei dipendenti Ue; se a questo si aggiungono anche i privilegi dei vitalizi dei parlamentari, il quadro complessivo dice che coloro che incoraggiano i tagli alle pensioni Italiane e coloro che li legiferano nel nostro paese si godono sistemi che per la previdenza Italiana del lavoratore “normale” sono stati aboliti perché considerati insostenibili e ingiusti. Chi si domanda come mai crescano l’antipolitica e l’avversione all’Europa inizia ad avere qualche spiegazione; quando si ascolta una predica si guarda anche al pulpito da cui viene.