L'ex senatore testimone nell'ambito del processo che vede imputati l'ex Cavaliere e Valter Lavitola. Ha ammesso di aver preso parte al piano del centrodestra per "devastare la coalizione dell'Unione"
Silvio Berlusconi la chiamò ‘Operazione Libertà’. Per sabotare il governo Prodi. Consisteva nell’insinuarsi tra i malumori di alcuni senatori della risicata maggioranza e provare a portarseli dall’altra parte. Ha utilizzato spesso il verbo ‘sabotare’ Sergio De Gregorio, sentito oggi davanti alla prima sezione del Tribunale di Napoli. De Gregorio è la persona che ha rivelato l’esistenza di ‘Operazione Libertà’ ed è il principale teste del processo per la compravendita dei senatori che vede imputati di corruzione l’ex premier Berlusconi e l’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola. Nel corso dell’inchiesta il giornalista-politico napoletano ha confessato di essere stato acquistato da Berlusconi con tre milioni di euro – due in nero e uno di finanziamento ufficiale al suo movimento ‘Italiani nel Mondo’ – con la mediazione dell’ex direttore dell’Avanti, e ha patteggiato venti mesi uscendo dal dibattimento.
‘Operazione Libertà’, secondo le risposte di De Gregorio alle domande del procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli e del sostituto Fabrizio Vanorio, è stata “una strategia di guerriglia urbana per sabotare e destabilizzare il governo, una guerra senza esclusione di colpi, una sorta di battaglia navale dove ogni giorno si discuteva chi doveva parlare e avvicinare i senatori da provare a convincere’. E tra i vari atti di ‘sabotaggio’, De Gregorio ne ha ricordato uno: proporre al ministro della Giustizia Clemente Mastella di diventare premier di un governo di transizione per il dopo Prodi.
“Riuscì a far parlare tra loro Mastella e Berlusconi – dice De Gregorio -, erano anni che non si parlavano. Organizzai un pranzo con Mastella e un capocentro della Cia il quale disse al ministro della Giustizia che gli interessi degli Stati Uniti non erano tutelati da questa coalizione, da un governo che non voleva il completamento delle basi militari in Italia”. Mastella a ilfattoquotidiano.it spiega: “Anzitutto non era un pranzo, presi un caffè al volo perché ero di strada e perché volevo convincere De Gregorio a tornare nel centrosinistra. Mi fermai circa tre minuti, poi vidi un personaggio strano nei paraggi e me ne andai, forse era l’uomo dei servizi segreti che De Gregorio si portava appresso. Agli americani risposi che ero grato agli Stati Uniti per questioni familiari, mia moglie ha studiato lì, poi dissi che io ero il ministro della Giustizia, mica l’usciere del ministero. E troncai. Ma le pare che un politico di esperienza come me poteva prendere sul serio quella proposta?”.
De Gregorio ha affermato di aver sempre gravitato in Forza Italia e che le candidature nella Nuova Dc e in Idv furono un ripiego. “Un politico non deve stare mai fermo. Alle regionali del 2005 non mi volle in lista in Forza Italia il deputato e coordinatore campano Antonio Martusciello, fece scrivere a sei sindaci una lettera a Berlusconi in cui minacciavano di non candidarsi se avessero candidato me. Allora mi candidai con Rotondi e presi più preferenze dei sindaci della lettera. Dell’Utri mi disse di non aver mai visto tanta acredine da parte di un deputato”.
E siamo al 2006: “Alle politiche del 2006 non presi in considerazione l’ipotesi di candidarmi con Rotondi perché con lui c’era Paolo Cirino Pomicino, col quale ero in pessimi rapporti. Si fece avanti Aniello Formisano (coordinatore campano Idv dell’epoca, ndr) che mi chiese un incontro per la candidatura in Idv su suggerimento di Antonio Di Pietro. Io all’inizio non andai, mandavo i miei dirigenti di Italiani nel Mondo. Feci sapere che non avrei mai firmato il programma dell’Unione, alzavo sempre di più le mie richieste politiche, ma Di Pietro mi accontentava in tutto e mi candidai”.
Ma 12 giorni dopo le elezioni, De Gregorio era già a Palazzo Grazioli da Berlusconi. In tre incontri avvenuti nell’arco di pochi giorni, due alla presenza di Lavitola, il senatore Idv diventò di fatto il cavallo di Troia del Cavaliere nella maggioranza Prodi. “Un senatore usurato è un senatore ricattabile, io ero sotto usura ma non potevo fare niente per modificare questa situazione. Gli raccontai le angherie subite in Forza Italia e il mio disagio economico, senza esporglielo nel dettaglio: debiti a mai finire nei confronti di terzi conosciuti nell’attività politica e imprenditoriale che si mettevano a disposizione ma mi chiedevano percentuali usuraie. Lui mi disse: ‘Sappi che io sto qui e devi darmi una mano per ribaltare maggioranza in Senato‘. Io gli risposi di essere onorato della proposta ma che ero imbarazzato, non potevo fare scompiglio subito, dovevamo prima creare le condizioni politiche”. In quegli incontri, conclude, “capii che Berlusconi era disponibile che poteva risolvere i miei problemi finanziari”.