Sono stati condannati il medico e l’infermiera del carcere di Grasse, in Costa Azzurra, per la morte di Daniele Franceschi, 36 anni. Il carpentiere di Viareggio era deceduto in circostanze poco chiare il 25 agosto 2010 mentre era detenuto da mesi, senza un processo, per il presunto utilizzo di una carta di credito falsa in un casinò d’Oltralpe. Dodici mesi di interdizione dalla professione e altrettanti di reclusione, ma con pena sospesa, è la condanna scelta dal tribunale di Grasse per il medico Jean Paul Estrade e per l’infermiera Stephanie Colonna, attualmente in stato interessante, entrambi imputati di homicide involontaire, cioè omicidio colposo. I due sono stati ritenuti colpevoli di non aver curato Franceschi, che da giorni accusava violenti dolori al torace. Ne aveva messo al corrente persino la famiglia tramite lettere e telefonate. L’altra infermiera rinviata a giudizio, Françoise Boselli, per la quale il pubblico ministero Parvine Derivery aveva chiesto 6 mesi di reclusione e 3mila euro di multa, è stata assolta, così come l’ospedale di Grasse rappresentato dal suo direttore Frédéric Limousy.
La sentenza Franceschi crea un precedente nella storia della giustizia francese. Non era mai successo, secondo il legale della famiglia, l’avvocato Aldo Lasagna, che il personale sanitario di un penitenziario fosse condannato per la morte di un recluso. Non è contenta però la madre di Daniele, Cira Antignano. “A parte il fatto che nessuna sentenza mi ridarà mai Daniele, questa è una conquista e una sconfitta. E’ la prima volta in Francia che viene condannato qualcuno per la morte di una persona in carcere. Ma non sono soddisfatta, mi aspettavo una pena più alta. Parlavano solo in francese, a dire la verità non abbiamo neppure capito un granché della sentenza, che è stata breve. Poi qualcuno ci ha spiegato cosa avevano detto” commenta al telefono a ilfattoquotidiano.it di ritorno dalla Francia. Con lei i rappresentanti di Assemblea 29 giugno e del Mondo che Vorrei, le associazioni nate all’indomani della strage ferroviaria di Viareggio, da sempre vicine alla causa di Cira, che, nella richiesta di verità e giustizia per la morte del figlio, di cui fu informata dopo tre giorni, è stata persino arrestata. Era l’ottobre 2010. Davanti al penitenziario di Grasse espose uno striscione con su scritto: “Carcere assassino, me lo avete ammazzato due volte. Voglio giustizia”.
“La protesta non è però piaciuta ai vertici carcerari che hanno chiamato la polizia – aveva spiegato un mese in una lettera al presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, accusato di essere stato sempre latitante in questa vicenda. “Ho cercato – continua la madre di Daniele – di spiegare che volevo manifestare pacificamente ma loro mi hanno messo in ginocchio e mi hanno ammanettato. Uno con il tacco della scarpa me l’ha premuto contro il petto fino a rompermi tre costole”. Cira in questi anni si era pure incatenata all’Eliseo. Chiedeva che le fossero restituiti gli organi del figlio, che mancavano quando il corpo giunse in Italia in avanzato stato di decomposizione, dopo una prima autopsia francese alla quale il medico di parte non fu ammesso. Oggi, dopo oltre 4 anni, la mamma li aspetta ancora.