Dopo sei anni la banca centrale Usa chiude l’era dell'iniezione di liquidità nell'economia. L'ex presidente Alan Greenspan ha criticato il piano, che ha contribuito a ridurre il tasso di disoccupazione dal 10 al 5,9%, dicendo che non ha stimolato la domanda e che la sua fine creerà turbolenze sui mercati
Dopo sei anni di aiuti all’economia, la banca centrale americana chiude l’era degli acquisti di titoli governativi (“quantitative easing”). La Fed, che in tutto ha iniettato nel sistema oltre 3.000 miliardi di dollari, dal mese prossimo chiuderà i rubinetti. I tassi di interesse, invece, per ora non aumentano. Ma il Federal Open Market Committee della banca, che si è riunito a Washington per due giorni, sembra iniziare a prendere in considerazione anche quella possibilità. Al momento, infatti, l’attuale livello del costo del denaro (tra lo zero e lo 0,25%) è “appropriato” e i tassi resteranno bassi per un periodo “considerevole di tempo”, ma nel comunicato finale del comitato che regola la politica monetaria si legge che il sotto utilizzo delle forze di lavoro negli Usa non è più “significativo” e sta “gradualmente diminuendo”. Una sfumatura, in apparenza, ma secondo gli analisti si tratta di un importante segnale che prefigura un cambio di linea.
“Se le informazioni indicheranno progressi più veloci delle attese verso gli obiettivi di occupazione e inflazione, un aumento dei tassi potrebbe verificarsi prima di quanto anticipato. Se invece i progressi saranno più lenti, un aumento arriverà più tardi delle attese”, scrive la Fed nel comunicato diffuso al termine della riunione, sottolineando che al momento “l’attività economica si sta espandendo a un tasso moderato. Le condizioni del mercato del lavoro sono ulteriormente migliorate. I consumi delle famiglie sono aumentati moderatamente e le spese delle aziende stanno crescono. I rischi all’outlook economico e del mercato del lavoro sono bilanciati. Anche se l’inflazione nel breve termine sarà frenata dai bassi prezzi dell’energia e da altri fattori, riteniamo che le probabilità di un’inflazione in modo persistente sotto il 2% sono diminuite”.
La decisione di mettere fine al terzo round di acquisti di titoli legati ai mutui e di bond era ampiamente attesa da Wall Street che, nonostante questo, dopo un avvio debole ha girato in negativo e ha chiuso in flessione dello 0,18%. A precedere l’annuncio sono arrivati d’altronde i giudizi tranchant di Alan Greeenspan, l’ex presidente della Fed ritenuto il responsabile della bolla esplosa nel 2008. “E’ impossibile” che la fine del piano di acquisti “non crei turbolenze sui mercati”, ha detto Greenspan. Secondo il quale il piano non ha centrato i suoi obiettivi: ha avuto un “grande successo” nel far aumentare i prezzi degli asset ma non ha funzionato nello stimolare la domanda nell’economia reale.
Il terzo round di acquisti di asset è iniziato nel settembre 2012 a una velocità di 85 miliardi di dollari al mese. Il ritmo di acquisti mensili era progressivamente sceso fino ai 15 miliardi del mese scorso. Al termine degli acquisti il bilancio della Banca centrale Usa si attesta a 4.500 miliardi di dollari. La Fed del nuovo presidente Janet Yellen ha precisato nella dichiarazione che non inizierà a vendere questi asset prima che vengano alzati i tassi a breve termine, in modo da “mantenere condizioni finanziarie accomodanti”. Dall’inizio di questa terza tornata il tasso di disoccupazione è calato dall’8,1% al 5,9% (nel 2009 sfiorava il 10). I critici ritengono però che la Fed farà fatica a disfarsi delle proprie massicce partecipazioni senza creare turbolenze e temono che i soldi pompati nell’economia possano aver creato pericolose bolle finanziare.