Costi accessibili e programmazione di alto livello: con poco più di 60 euro, una cifra che corrisponde a meno della metà, se non un terzo rispetto agli standard dei grandi festival spagnoli o inglesi, si acquista il pass che permette di accedere ad una lunghissima settimana di live e dj set. La line up allestita ogni anno dal direttore artistico Mat Schulz è una delle migliori del mondo
Nel corso dell’ultimo decennio la Polonia è diventata un nuovo eldorado per gli appassionati europei delle musiche più raffinate ed avanguardistiche in circolazione. L’Off Festival di Katowice, l’Avant Art Festival di Wroclaw e, soprattutto, l’Unsound di Cracovia, per citare soltanto i più noti, sono diventati rassegne di livello internazionale: l’Unsound, addirittura, con propaggini ed eventi collaterali a New York, Londra ed Adelaide. Se l’anno scorso la parola d’ordine era stata “Interference”, il tema di Unsound 2014, svoltosi la settimana scorsa, dal 12 al 19 ottobre, è stato il sogno, “The Dream”, concetto perfettamente riassunto ed esemplificato dal live di chiusura a cura di Liz Harris, in arte Grouper: puro onirismo di scuola Kranky magnificamente amplificato dalle evocative immagini del filmmaker Paul Clipson, footage ipnagogico in pellicola girato nella zona di San Francisco e della Bay Area. A farla da padrone un proiettore piazzato al centro della sala, una presenza fisica tangibile il cui rumore meccanico, quasi a coprire, a tratti, le flebili note della Harris, lo ha fatto assurgere a vera e propria macchina dei sogni.
Detto ciò, qual è il vero sogno? Con 150 zloti al giorno, l’equivalente di circa 40 euro, si può disporre di un appartamento dotato di ogni comfort nel centro storico di Cracovia o nell’adiacente Kazimierz, l’antico ghetto ebraico, uno dei quartieri più caratteristici ed affascinanti di una città bella ed ospitale che trasuda storia e cultura. Con 10 euro si cena al ristorante a suon di pierogi, sorta di ravioli locali ripieni d’ogni delizia, e carne a volontà. E con pochi spiccioli si bevono fiumi di Zubrowka, la vodka ufficiale. Con poco più di 60 euro, una cifra che corrisponde a meno della metà, se non un terzo rispetto agli standard dei grandi festival spagnoli o inglesi, si acquista il pass che permette di accedere ad una lunghissima settimana di live e dj set di altissimo livello perché, diciamolo subito, la line up allestita ogni anno dal direttore artistico, l’australiano Mat Schulz, è a dir poco esaltante, una delle migliori del mondo. Non a caso questa 2014 è stata l’edizione del boom: migliaia di appassionati ed addetti ai lavori provenienti soprattutto da Gran Bretagna, Italia, Germania e Scandinavia ma anche da altri paesi europei sono confluiti quest’anno sulle rive della placida Vistola. Se da un lato le location pomeridiane e serali, dislocate in itinere in vari angoli della città, hanno potuto annoverare un ulteriore fiore all’occhiello come gli splendidi e funzionali auditorium del nuovo centro congressi dell’ICE, d’altro canto i grandi numeri hanno oramai messo in luce la parziale inadeguatezza strutturale degli spazi dello storico Hotel Forum, laddove si svolge tutta l’attività notturna ed il fulcro del “long weekend”.
Non si può non sottolineare che vi è una vera e propria cultura dell’ascolto che permea da cima a fondo questa manifestazione: lo si legge negli occhi dei ragazzi che seguono con estrema attenzione i panel e le interviste agli artisti ed in religioso silenzio le esibizioni dei loro beniamini. Sono ben pochi quelli che si azzardano ad alzare al cielo i loro telefoni cellulari e a disturbare quando non è il caso ma ciò non significa che non li si possa poi ritrovare in prima fila a scatenarsi e fare baldoria quando la notte è fonda ed in consolle sale il loro dj preferito. Atteggiamento positivo, educato, intelligente e costruttivo. Stesso dicasi per la cura dedicata dagli organizzatori alla qualità del suono ed alla acustica dei luoghi prescelti: esemplare ed essenziale presupposto. Il giovedì ha snocciolato una line up da manuale con Vessel (il suo “Punish Honey” su TriAngle è uno dei migliori album usciti quest’anno), il live ipnotico, fisico e trascinante, da urlo, dei Carter Tutti Void, il magnifico spettacolo di luci di Marcel Weber, i cui lampi hanno rischiarato l’A U R O R A di Ben Frost, poi Rrose ed infine Perc, a spianare tutta la potenza e la gloria di cui è capace sul campo di battaglia del dancefloor.
Venerdì note di merito sia per Valerio Tricoli, uno dei più credibili eredi del futurismo di Russolo e della musique concrète, che per “Double Vision”, lo straordinario spettacolo audiovisivo commissionato ad Atom TM e Robin Fox e basato su una rilettura potente ed ironica del primordiale RGB: red, green, blue. E poi largo a Detroit con il commovente live dei Dopplereffekt, sinfonie electro cibernetiche, come se i Kraftwerk suonassero i Drexciya in qualche luogo sperduto nell’ignoto spazio profondo, ed a ruota l’ottimo DJ Stingray ed il gigante Robert Hood, da sempre maestro d’eleganza e di inesorabile efficacia techno nella Motor City. Verso l’alba la footwork di DJ Spinn e della giovane rivelazione DJ Earl ma prima uno sbronzo e geniale Russel Haswell che per un’ora provoca e sfida gli ascoltatori sul piano nervoso tanto che qualche facinoroso tra il pubblico prorompe in sguaiate bestemmie, distintamente udite in italiano, nonostante i tappi.
Il sabato si apre alla grande con Cyclobe e con tanto di ghironde, percussioni, flauti, rumorismi, iconografia misterica ed atmosfera ancestrale: sembra a tratti di sentire i Coil, nel complesso uno dei concerti più emozionanti di tutto il festival. Si prosegue con gli Swans: semplicemente l’ultima grande rock band rimasta sulla faccia della Terra. Feroci, spietati, impetuosi e torrenziali come sempre. Tornando all’Hotel Forum dal quartiere periferico di Nowa Uta, dopo un viaggio periglioso alla deriva sul grande raccordo anulare di Krakow, riusciamo a carpire gli ultimi venti minuti di un Ripatti elettrizzante ed in grande spolvero e poi giù a capofitto negli antri dub di Killing Sound, la nuova promettente scuola bristoliana della Young Echo. Devastante la cortina di fumo e di sub dispiegata da Kevin Martin, The Bug, l’uomo da venerare e rispettare: pare di essere perduti in una qualche distopia post-atomica e quando arriva Flowdan il poco ossigeno rimasto in sala prende fuoco. Nel frattempo la nebbia scende bassa e fitta sulla Vistola: la vita è un sogno, Marzullo docet. Ottima la prova di Mumdance accompagnato dal bravo Novelist, giovane dotato di impressionante favella, e poi il back to back con Pinch e Logos che tocca vette siderali nella sua fase introduttiva. Nell’altra sala fanno faville Joey Anderson, Kassem Mosse e Lee Gamble ma la temperatura tropicale e la mancanza di areazione non permette di addentrarvisi troppo.
La domenica, come accennato, Grouper e a seguire l’esecuzione di “Nommos”, il capolavoro di Craig Leon, in una differente versione per orchestra, ad opera della Sinfonietta Cracovia e diretta dal compositore e produttore americano, che evidenzia alcune assonanze inizialmente con Morricone e poi soprattutto con Philip Glass. Call Super, nuovo astro nascente in casa Houndstooth, ed Objekt non riescono a rendere memorabile il dj set del party di chiusura, risultando nonostante tutto un po’ convenzionali. Di ben altro spessore, l’anno scorso, era stato il b2b Miles Whittaker Lee Gamble al Pauza. Un’ultima parola per le installazioni: se nel 2013 eravamo rimasti incantati e folgorati dall’eccezionale “The Enclave”, frutto della joint venture Ben Frost Richard Mosse, quest’anno purtroppo non possiamo dire altrettanto di “Ephemera”, opera del trio Kode9, Ben Frost, Tim Hecker, che “puzza” un po’ di operazione di marketing con tanto di boccette di profumo Bass, Noise, Drone poste in vendita a latere. Ma è un dettaglio a fronte di ciò che ha saputo regalare anche quest’anno Unsound. Il sogno continua.