Pubblichiamo un estratto di Rumble in the Jungle, il romanzo breve del giornalista Luigi Guelpa (Edizioni inCONTROPIEDE, 102 pagine, 9 euro) che porta il lettore a Kinshasa 40 anni dopo il match del secolo tra Ali e Foreman.

 

A Kinshasa tutti sapevano chi era Ali, un eroe. Foreman non sapevano neppure che faccia avesse, solo al suo arrivo scoprirono che anche lui era nero. Quando scese lungo la scaletta dell’aereo, facendosi precedere da un pastore tedesco. Quel cane offese gli africani perché i belgi (il Congo era una loro colonia prima di diventare Zaire) usavano i pastori tedeschi come cani poliziotto per le loro spedizioni punitive: prelevavano uomini che poi avrebbero torturato. Ali viveva in mezzo alla gente, catturava il popolo perché era uno di loro. Parlava Ali, parlava senza sosta. Affascinava, incantava, entusiasmava. Foreman era solo, lui e il suo clan. Lontano dagli africani, solo con la sua superbia. Quando si fece male in allenamento (una ferita all’arcata sopraccigliare destra che costringerà Don King a rinviare di sei settimane l’incontro), quando nella sfida mondiale andò giù come un fantasma, qualcuno parlò di riti voodoo. La realtà è che l’unica arte magica di cui rimase vittima Big George fu quella sprigionata dall’uomo che riuscì letteralmente ad abbatterlo.

Ali aveva bisogno di tre cose per vincere la sfida. Controllo della mente e del corpo, aiuto della gente. Aveva un vantaggio: conosceva la sconfitta, l’aveva già assaporata contro Frazier e Norton. George Foreman si credeva imbattibile. Ali sapeva anche che non poteva più ballare. “Vola come una farfalla, pungi come un ape”. No, Bundini, stavolta non si può. Bisogna che quel gorilla del campione si stanchi a forza di picchiare, lui intanto imparava ad alzare la soglia del dolore facendosi sistematicamente colpire da Larry Holmes, suo sparring in allenamento, futuro campione del mondo. L’Africa era con lo sfidante, l’altro solo un bianco travestito da nero. “Ali bomaye, Ali bomaye” urlavano i ragazzi che vivevano nelle baracche accanto al fiume Congo, i diseredati vittime della dittatura del presidente Mobutu, i poveri, i sognatori. “Ali uccidilo, Ali uccidilo”. Foreman si fece male in allenamento, tutto venne rimandato di sei settimane.

Il 30 ottobre 1974 Ali finì per essere torturato per sette round dal grande George. Colpi di devastante potenza su un corpo immobile, un martirio che intristì gli animi. Fermo alle corde Ali fece sfogare il nemico. L’altro perse sicurezza, vide calare la propria forza. E Ali era sempre lì, in piedi davanti a lui. Nell’ottavo round si compì il capolavoro. Lo sfidante uscì dall’angolo, facendo partire una serie infinita di colpi, chiudendo con un destro che venne direttamente dal cielo. Poi non volle rovinare quell’immagine perfetta del gigante che crolla al tappeto. Non Colpì più, non ce ne fu bisogno. È nuovamente campione del mondo. Piove, diluvia su Kinshasa. È una festa pagana in onore del re tornato a comandare il mondo. L’acqua pulisce tutte le imperfezioni del vecchio regime, di quello fatto di violenza e di nessuna saggezza di George Foreman. Il gigante è crollato, Big George si è arreso all’ultima magia di Ali. Però è arrivato il momento di riavvolgere il nastro e di raccontare il dietro le quinte della storia sportiva più appassionante di sempre, quella che ha messo davvero lo Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, sulle cartine geografiche.

di Luigi Guelpa

da Il Fatto Quotidiano del 30/10/2014

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