Infatti, in mezzo alle ‘soavi viperette’ modello Debora Serracchiani, che schizzano veleno tra uno sbattito di ciglia e un sorrisetto, starnazza con sempre maggiore insistenza la sora Pina (Picierno). Fa venire in mente una cornacchia, l’indole emersa in maniera lampante quando ha mosso contro la leader Cgil – la burocratica Camusso – l’unico addebito che un tipo come lei, giunta in parlamento da designata dall’alto e candidata alle europee da capolista per arrivare seconda, una ‘super-raccomandata di ferro‘ che (con disprezzo delle assonanze) definiva Ciriaco De Mita “un mito” – dovrebbe evitare per pudore: le modalità con cui il bersaglio delle sue beccate ha conquistato il vertice del sindacato.
Questo in tema di opportunismi. Ben più inopportuna è la polemica, nutrita di sommari residuati argomentativi, in materia di rappresentanze del lavoro; proprio mentre la polizia manganellava selvaggiamente gli operai della Thyssen, scesi a Roma da Terni per difendere i loro diritti. Una vicenda attorno alla quale si intravedono le ombre ferine di altri animali, tipo sciacalli: quelli che ci vanno a nozze negli scontri di piazza e nei giri di vite più feroci dell’ordine pubblico, perché ritengono di ricavarne vantaggi politici. Quegli sciacalli del via libera alle provocazioni inconsulte di una ragazza che argomenta come in una lite di condominio e – al tempo stesso – mandano segnali che attizzano l’aggressività nelle frange delle forze dell’ordine meno lambite da un’educazione alla democrazia.
A tale proposito vorrei riferire di un video, girato nei giorni dell’alluvione di Genova, che testimonia le prevaricazioni di alcune pattuglie di poliziotti nei confronti dei ragazzini che spalavano il fango, rei di aver invitato gli agenti ad unirsi a loro e “sporcarsi un po’ la divisa”. Faceva impressione la tracotanza intimidatoria verso quegli inermi volontari da parte di un agente, tatuato come uno skinhead e con bicipiti da culturista, che sequestrava loro i documenti e minacciava reazioni; forte della divisa e del presunto potere arbitrario.
Le cariche di Roma, gli strilli della Picierno, le inconsulte prepotenze di Genova. Tutto lascia pensare che qualche sciacallo abbia innescato – esplicitamente o meno – lo scatenamento degli istinti peggiori – verbali e non – che si traducono in repressione. Qualcosa di molto preoccupante, viste le nubi tempestose che stanno addensandosi nel cielo dell’Italia. E che nei prossimi mesi potrebbero tradursi in repentine insorgenze sociali; cui replicare con rinnovate strategie della tensione. Mosse che potrebbero rientrare nei disegni controriformisti in gestazione; all’insegna del ben noto binomio Legge&Ordine, per sottrarre al berlusconismo in disarmo i suffragi della cosiddetta Maggioranza Silenziosa di non rimpianti passati. Quella della marcia dei 40mila in Fiat, madre della successiva sconfitta del lavoro.
Formulo queste considerazioni con un certo imbarazzo. Ma non posso dimenticare – da genovese – una lontana domenica assolata del G8, quando giovani del volontariato e intere famigliole vennero presi a randellate sul lungomare di corso Italia da quella polizia che nei giorni precedenti assisteva senza battere ciglio alle devastazioni dei black blok. Polizia che era stata appena visitata e rassicurata da un post fascista assurto a vice presidente del consiglio nel governo Berlusconi: Gianfranco Fini, poi imborghesitosi tra Roma e Montecarlo. In quel momento espressione dello spirito di rivalsa insito in una Destra a lungo compressa dalla messa al bando cinquantennale.
La stessa voglia di rivalsa che ancora una volta si percepisce nell’aria…