La fotoreporter Marina Spironetti, bloccata nel Paese africano a causa dei disordini, descrive le tensioni a Ouagadougou
La fotoreporter Marina Spironetti, in vacanza in Burkina Faso, racconta a ilfattoquotidiano.it cosa sta accadendo nella capitale Ouagadougou, dove un milione di persone sono scese nelle strade per protestare contro un nuovo mandato del presidente Blaise Compaorè. Il capo dello Stato, da 27 anni al vertice del Paese, vorrebbe infatti modificare la Costituzione per assicurarsi di rimanere ancora al potere. A causa dei tumulti Marina Spironetti è rimasta bloccata nella capitale. Ecco la sua testimonianza:
Potrebbe essere una giornata di sole come tante, qui a Ouagadougou, Burkina Faso. Guardando all’orizzonte, oltre l’arancione delle basse case di mattoni, però, ti rendi conto che qualcosa non va. Nuvole nere, minacciose, che si addensano sul cielo della capitale. L’odore di bruciato, negli ultimi giorni, è diventato qualcosa di tristemente familiare. Resta nell’aria, come una coltre spessa, e ti prende ai polmoni, ti accorcia il respiro. Si brucia quel poco che si può, solitamente dei vecchi copertoni, in segno di protesta. Oggi, però, si è passati alle maniere forti.
La manifestazione è iniziata dalle prime ore del mattino – si sentivano i rumori del corteo, urla, fischi, alle mie orecchie di occidentale risuonava un po’ come la folla di uno stadio. Poi è iniziato il fuoco – un tam tam di agenzie, tweet, notizie ascoltate alla radio. Brucia il Parlamento, brucia il municipio. Brucia la sede del CDP, il partito al potere. Brucia anche l’Hotel Azalai, uno degli alberghi più prestigiosi della città e indirizzo preferito da diplomatici in visita nella capitale. “Non salire sul terrazzo”, intima Moussa, il burkinabé della guesthouse in cui mi trovo. “Potrebbe essere pericoloso. Ci sono proiettili vaganti”.
E’ di pochi minuti prima la notizia di un uomo deceduto nel quartiere, a un paio di isolati da qui. Per un proiettile vagante, appunto. Abbiamo sentito il rumore agghiacciante delle mitragliette, appena qualche minuto prima. C’è confusione – sulle prime sembrava si trattasse di spari nell’aria, per i festeggiamenti. Ma erano i colpi che hanno ucciso un uomo. Intanto la folla si avvicina al Parlamento.
La mia diventa in breve una prigione dorata, fra le mura di un’altra guesthouse, Chez Giuliana, una sorta di informale ambasciata italiana, ritrovo di buona parte dei connazionali che arrivano qui per lavorare nella cooperazione. E, soprattutto, doveva essere una vacanza tranquilla, per passare qualche giorno con il mio compagno che, appunto, lavora proprio nella guesthouse di sua madre. Accanto a me un biglietto aereo – sarei dovuta partire sabato scorso, poi la malaria mi ha costretto a cambiare i miei programmi e a spostare la partenza proprio a questa sera. Gli altri ospiti della guesthouse, per buona parte italiani, parlottano seduti sui divanetti all’ingresso, si informano sulle vicende politiche di un paese che i più non saprebbero nemmeno dove collocare sulla cartina dell’Africa.
Un paese tranquillo, il Burkina Faso. Di sicuro, molto più di tanti altri stati confinanti. Ancora miracolosamente non contaminato né dall’incubo Ebola, né da quello del terrorismo islamico, arrivato ormai vicino, vicinissimo, al confine con il Mali. L’unico spettro che incombeva sul paese era quello delle prossime elezioni presidenziali, previste per settembre 2015. E Blaise Compaorè, l’attuale capo di stato, al potere da 27 anni, decide di forzare la mano e di cambiare la Costituzione per garantirsi l’ennesimo mandato. E’ la goccia che fa traboccare il vaso. La rabbia divampa. Letteralmente.
“Hanno annunciato il colpo di stato”, annuncia il mio compagno, interrompendo il rumore delle mie dita sulla tastiera. “Tutti i voli per la giornata di oggi sono stati cancellati”. Sospiro e guardo le nuvole di fumo nero all’orizzonte. Il mio ritorno in Europa dovrà aspettare.