Palermo è considerata la città più araba d’Italia per l’originale stile architettonico dei suoi monumenti orientaleggianti comunemente detti arabo-normanni che rimandano ad un tempo in cui cristiani, sia latini che bizantini, arabi ed ebrei convivevano pacificamente producendo quella civiltà che ancor oggi ammiriamo nell’architettura, nelle opere di ingegneria, nelle varietà agricole, nella gastronomia, ecc. Agli arabi dobbiamo senz’altro i numeri, fondamentali nozioni di matematica, di astronomia, il salvataggio del pensiero filosofico greco, ecc. E se la Storia è maestra di vita, è lì che dobbiamo cercare risposte per gli interrogativi più inquietanti della cronaca contemporanea. Torno a farlo con l’ausilio di uno storico amico, Pasquale Hamel, che da studioso di storia della Sicilia non ha potuto non approfondire il tema del confronto con la cultura islamica (“Mediterraneo da barriera a cerniera” editori Riuniti, Roma, 2006).
La domanda è quella che ci facciamo ogni giorno alla notizia di nuove atrocità compiute dai fondamentalisti dell’Is o Isis, lo stato islamico che sta cercando di prendere forma tra Iraq e Siria: un Islam moderato è davvero possibile o è un’illusione? E’ ripetibile la felice convivenza e tolleranza del periodo normanno siciliano? Nell’odierno confronto culturale partiamo da una corretta prospettiva storica o siamo fuorviati proprio dalla nostra tolleranza? Dopo Poitiers (732), Lepanto (1571) e Vienna (1529 e 1683) dobbiamo temere più le minacce militari dell’Isis di conquistare finalmente la mitica Mela rossa oppure la strategia demografica di Houari Boumedienne minacciata all’Onu il 10.4.1974? «Un giorno milioni di uomini dell’emisfero meridionale andranno nell’emisfero settentrionale. E non ci andranno come amici. Perché ci andranno per conquistarlo. E lo conquisteranno con i loro figli. I ventri delle nostre donne ci daranno la vittoria».
L’Occidente dei diritti, figlio dei fermenti rivoluzionari americani (1776) e francesi (1789), ragiona di diritti come di concetti universali dati per acquisiti. Tale è la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) che non è stata sottoscritta dai Paesi islamici che hanno prodotto l’analoga Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo (1981) coerente con i precetti della Sharia. L’Islam, mi spiega Hamel, riconosce come sue fonti, per le quali indica come unica interpretazione possibile quella letterale, il Corano e le Hadits: il primo è la rivelazione di Allah al suo profeta Maometto ed è, nel senso letterale del termine, “parola di Allah” nella lingua d’Allah, trascritta graficamente con i segni di Allah; le Hadits sono raccolte di detti, fatti e disposizioni del profeta Maometto. Il Corano, filologicamente, è frutto dell’assemblamento, spesso anche incoerente, di narrazioni bibliche, del vecchio e nuovo testamento, di narrazioni tratte dai vangeli gnostici, di narrazioni tratte da religioni iraniche e da credenze e tradizioni presenti nella penisola arabica prima di Maometto. Le Hadits hanno un rango appena inferiore rispetto al Corano, da esse soprattutto si ricavano le norme comportamentali.
Il tema centrale del libro sacro è l’affermazione dell’unicità di Dio, un Dio che detta la sua legge da cui discende l’invito alla conversione e l’impegno del converso di realizzare sulla terra il dar al Islam. Questo comporta che per sua natura l’Islam si manifesti come intollerante con un’eccezione “pelosa” nei confronti della gente del Libro, cioè ebrei, cristiani, sabei. Perché la tolleranza nei confronti di costoro è strumentale al riconoscimento del loro errore e quindi alla loro conversione. L’Islam condiziona in modo totale la vita del converso che perde la sua identità e si annulla nella “Umma”, la comunità dei credenti. Il Corano con le Hadits dettano i principi cardine nella sfera pubblica, legittimando anche aspetti discriminatori: le donne vengono posposte all’uomo, ma anche fra gli stessi uomini vi sono discriminazioni com’è, ad esempio, la schiavitù legittimata e riservata ai non musulmani. Il proselitismo, cioè il diffondere l’Islam fra gli infedeli, diventa parte predominante della vita del musulmano che deve scegliere la strada più utile per estendere l’Islam al di là dei confini del dar al Islam.
Seppure nella dottrina si registri un continuo richiamo alla misericordia di Allah e, quindi, una vocazione alla pace, le fonti islamiche non escludono la violenza anzi, laddove la violenza è utile a realizzare lo scopo della diffusione dell’Islam come nel dar al Harb, cioè il territorio della guerra, il ricorso alla stessa viene ritenuto legittimo: è il caso della Jhiad di spada. Inoltre, anche laddove gli infedeli del dar al Harb non muovessero guerra ai credenti, l’aggressione e la violenza vengono giustificate e legittimate come strumento di difesa preventiva. L’Isis non è, dunque, una deviazione rispetto alla ortodossia coranica bensì, a rigor di logica, ne è la vera attuazione: piuttosto sono eterodosse tutte le forme che, in qualche modo, vanno al di là di questi principi.
L’Islam moderato è una formula giornalistica: piuttosto esistono uomini di buona volontà che si allontanano dall’ortodossia e tentano di ridisegnare i fondamenti teologici dell’Islam. Parlare di diritti umani o di diritti civili (soprattutto di libertà e autodeterminazione) nel mondo musulmano è un’eresia perché i diritti sono quelli fissati nei testi. Si può parlare di diritti umani secondo la legge islamica nei limiti riconosciuti dagli stessi testi. Esiste una sostanziale incompatibilità fra Islam e democrazia: i veri musulmani non possono farsi “corrompere dalla democrazia”. Il Libro, cioè il Corano, impone solo “l’obbedienza alle autorità” con un temperamento rappresentato dalla Shurà cioè dalle “consultazioni”, marcando con ciò la distanza dai principi e dal metodo democratico.
A causa di una superficiale conoscenza dell’Islam, secondo Hamel, sono diffuse in Occidente interpretazioni poco scientifiche e per lo più ideologiche o propagandistiche dove un ruolo non secondario è giocato dal pregiudizio anti americano, anti sionista o anti religioso in combutta con la perenne tentazione auto flagellatoria della cultura occidentale che dimentica, ad esempio, che al tempo delle vituperate Crociate la maggioranza della popolazione in Palestina e nel medio oriente era cristiana. Se si vuole davvero scongiurare lo scontro di civiltà profetizzato dal tanto criticato Huntington, sottovalutare l’incompatibilità radicale dei punti di partenza può risultare fatale in un confronto di civiltà che esige invece oggi, più che in passato, una forte identità culturale fondata sulla consapevolezza delle proprie radici e dei propri valori non rinunciabili. Mentre l’Isis islamico porta con terrore al passato, l’occidente ha prodotto l’Iss, la stazione orbitante internazionale proiettata nel futuro e non sarà per caso.