Human Rights Wath ha pubblicato un rapporto che raccoglie le testimonianze di 46 donne rapite dal gruppo fondamentalista: sarebbero almeno 500 quelle sequestrate dal 2009. Ma "prima della campagna #BringBackOurGirls i rapimenti passavano sotto silenzio"
“Mi hanno obbligata ad accompagnarli in due operazioni e a trasportare le loro munizioni. La prima volta che mi hanno ordinato di uccidere un uomo, mi sono messa a tremare e sono caduta a terra. Mi hanno costretta ad alzarmi e a guardare mentre loro uccidevano il secondo uomo. Allora ho pensato che avrei dovuto prendere uno dei fucili e usarlo per uccidermi, visto che ci avevano mostrato come sparare”. Sono le parole di Hauwa, nome di fantasia, una delle ragazze rapite da Boko Haram tra l’aprile 2013 ed l’aprile 2014. La sua è una delle 46 testimonianze raccolte da Human Rights Watch, che le ha diffuse in un rapporto di 63 pagine e anche con un video, in cui le ragazze parlano senza mostrare la loro identità. Storie di violenza, di abusi, ma anche di giovani costrette in prima linea durante i combattimenti. Alcune di loro sono riuscite fortunosamente a scappare e hanno potuto raccontare l’inferno.
Come Gloria, rapita nell’aprile 2014, che parla col volto oscurato e in braccio un bimbo piccolo: “C’erano molte donne in quel campo. Alcune erano già state obbligate a sposarsi con dei ribelli, altre erano state forzate a convertirsi all’Islam prima di sposarsi. Uno degli uomini mi ha violentata. L’ho supplicato di non farlo, perché con me avevo il mio bimbo neonato, ma lui mi ha ordinato di posarlo a terra”. Già prima della campagna mondiale #BringBackOurGirls – spiega Mausi Segun, curatrice del rapporto per Hrw – si aveva notizia di rapimenti di ragazze e giovani donne, ma la cosa veniva passata sotto silenzio anche per la cultura locale, che ne faceva una sorta di tabù. Il rapimento delle liceali di Chibok ha definitivamente rotto le remore, portando alla ribalta mondiale la situazione drammatica di tante giovani rapite da Boko Haram. L’ong calcola che dal 2009 siano state rapite almeno 500 donne.
E mentre il report di Hrw fa il giro del mondo, arrivano dal terreno le prove della rottura della fragilissima tregua annunciata dal governo nigeriano poco più di una settimana fa: domenica una serie di scontri hanno opposto i militanti di Abubakar Shekau e l’esercito nigeriano. Ma quel che è peggio è che dal villaggio di Mafa, nello stato nordorientale di Borno, sono stati rapiti altri 30 adolescenti, maschi e femmine, i ragazzi dai 13 anni e le ragazze dagli 11. E 17 persone hanno perso la vita in un attacco a un villaggio vicino. Sempre domenica, il governo camerunese ha annunciato di aver respinto tre attacchi nell’estremo nord, nella regione confinante con lo stato di Borno, ove da mesi le incursioni di Boko Haram sono frequenti, mietono vittime e incrementano l’elenco dei rapiti. Una lotta ben lungi dall’essere conclusa.
In Nigeria l’orrore non conosce fine. Nel sud del paese, dove Boko Haram non ha ancora esteso la propria influenza, un cittadino tedesco è stato ucciso e un altro rapito e poi liberato da non meglio identificati uomini armati lo scorso venerdì 24 ottobre nello stato sudoccidentale di Ogun, ma a polizia nigeriana ne ha dato notizia solo il lunedì successivo. Uno dei due lavorava per l’impresa di costruzioni Julius Berger e l’altro per una ditta appaltatrice. “Un fatto isolato”, è stato detto. Ma lo stesso giorno, nel Delta del Niger, nello stato di Bayelsa, quattro poliziotti sono stati uccisi e sei lavoratori rapiti. I due episodi, perora senza rivendicazione e senza un legame dichiarato, riportano alla memoria le azioni del Mend, il gruppo che negli anni scorsi attaccava i lavoratori delle piattaforme petrolifere e rivendicava per la popolazione il diritto di usufruire dei proventi della vendita del petrolio. Le loro azioni si sono interrotte nel 2009, in seguito a un’amnistia conclusa con il governo, ma la criminalità rimane molto alta, con furti in serie di greggio e frequenti rapimenti.