Negli ultimi anni, da quando il debito pubblico è stato posizionato al vertice delle colpe nazionali, le librerie sono state inondate da una pletora di saggi. L’argomento è particolarmente dibattuto, il pregio dell’ultimo libro di Paolo Ferrero è di spiegare in maniera comprensibile, cosa ci sia dietro ciò che lui chiama La truffa del debito pubblico, titolo del libro edito da Derive Approdi.
La storia che racconta Ferrero è del tutto alternativa a quella che viene narrata dai mass media. La sua analisi parte dal 1981. Una data importante perché, come ricorda l’autore, in quell’anno in Italia ci fu un divorzio di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. A divorziare fu il Tesoro dalla Banca d’Italia. Lo Stato fino a quell’estate di 33 anni fa, quando doveva realizzare spesa pubblica e quindi necessitava di capitali, emetteva i titoli di Stato decidendo con il Tesoro il tasso d’interesse. Se durante l’asta al tasso d’interesse fissato non venivano venduti tutti i titoli, la Banca d’Italia si impegnava ad acquistarli diventando di fatto prestatore di ultima istanza. Questo ruolo era fondamentale perché si impediva la speculazione e tutti i titoli venivano venduti garantendo allo Stato i capitali necessari. Dopo il divorzio ciò non è stato più possibile e, come sottolinea Ferrero, lo Stato è diventato succube della finanza privata.
Le conseguenze sono subito evidenti se si pensa che fino al 1981 lo Stato pagava interessi minori rispetto al tasso d’inflazione mentre dopo il divorzio maggiori del 4,2%. Questo ha causato la crescita del debito pubblico (ogni anno paghiamo circa 80 miliardi di euro di interessi) che quindi ha la sua origine proprio nel divorzio del 1981.
Una condizione analoga a quella odierna in Europa, se all’Italia fosse permesso di prendere in prestito il denaro dalla Bce al costo del denaro ufficiale che è dello 0,15%, invece di pagare 80 miliardi l’anno ne pagheremmo solo 3. Ma la Bce questi privilegi li può, per statuto, garantire alle banche private e non agli Stati. E fa bene Ferrero a ricordare che coloro, come La Lega e la presidente di Fratelli d’Italia, che oggi si proclamano paladini anti-euro, abbiano votato a favore del Trattato di Lisbona e dell’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio.
Un’altra data fatidica che Ferrero ricorda è il 1992. Perché è una data importante? Perché da quell’anno la spesa pubblica del nostro Paese, al netto degli interessi sul debito pregresso, è stata inferiore a tutte le spese realizzate dallo Stato. Questo è un altro punto importante perché palesa che non abbiamo una spesa pubblica eccessiva e se non si ripristina una situazione simile a quella precedente al 1981 il debito non sarà mai rimborsabile.
L’autore conclude che la speculazione finanziaria è stata un fenomeno voluto e non subito dai nostri governanti. Non me ne vorrà Ferrero che stimo per la sua onestà intellettuale a differenza di alcuni suoi ex compagni di partito esultanti nell’essere stati presi sul carro del vincitore, tuttavia temo che nella fattispecie abbia sopravvalutato la capacità cognitiva di una classe politica incolta e sottomessa a un livello di potere superiore dal quale dipende come una foca da circo dal suo domatore. Il problema dei nostri tempi è proprio la subordinazione della politica a un’oligarchia finanziaria, un legame che si può sciogliere solo con la partecipazione diretta dei cittadini.
Sento di consigliare la lettura di questo libro, ma anche del precedente testo di Ferrero (Pigs!), perché sono condivisibili analisi e diagnosi. Ciò che suscita titubanza è la cura che si vuole somministrare. Dopo l’impatto devastante della meteorite neoliberista sul mondo rappresentato da Ferrero, tra i vari pezzi rimasti può rinascere da tale arcipelago un’alternativa forte e credibile? Con un giovane presidente del Consiglio che come pochi officia il paradigma dell’effimero dominante, battendo il cinque, twittando e facendo selfie utilizzare termini più volte ripetuti nel libro come padroni può essere ancora una strategia comunicativa vincente?
Forse se si vuole riuscire a prospettare un futuro a un Paese disorientato pronto a seguire chi gli porge una speranza anche se vana, bisogna trasmettere l’idea di voler intraprendere insieme un percorso determinati ad andare avanti senza seguire un navigatore i cui tragitti sono stati inseriti dall’alto ma nemmeno dare la sensazione di fissare lo sguardo nello specchietto retrovisore.