In campo per il salvataggio gli editori Guido Veneziani e Andrea Palombo. Ma il rilancio si preannuncia difficile visto lo stato dei conti della testata, non più in edicola da agosto. Nella relazione allegata al bilancio 2013 si legge che affidandola all'ex socio di maggioranza sarebbe stato possibile salvare tutti i posti di lavoro e valutare con più tranquillità altre offerte
Scade il 31 ottobre il termine per presentare le offerte di acquisizione dell’Unità. Hanno annunciato di voler formalizzare il proprio interesse sia Guido Veneziani, editore di periodici su gossip e vip come Stop e Vero, sia Andrea Palombo, ex editore del quotidiano Latina Oggi acquistato dal gruppo di Giuseppe Ciarrapico, nonché consigliere del comune di Latina prima con il Pdl e poi come indipendente. Palombo ha aspettato fino a ieri prima di rendere noto il suo impegno. Ma, al di là di chi sarà il nuovo editore, si tratterà comunque di un rilancio difficile, visti i conti del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Che è in liquidazione e assente dalle edicole dallo scorso primo agosto. Secondo il bilancio chiuso il 31 dicembre 2013 l’ultimo esercizio completo della casa editrice Nie si è chiuso in rosso per 20,5 milioni di euro. Non solo: in una relazione dei liquidatori allegata al documento si sottolinea come il giornale sia arrivato al dissesto, anno dopo anno, senza che le passate gestioni abbiano fatto nulla per contenere i costi in modo incisivo. E come, al contrario, abbiano continuato a operare in uno stato di illiquidità. Del resto, fino allo scorso luglio, l’Unità perdeva ogni mese 700-800mila euro. Un aiuto concreto non è arrivato nemmeno dal Partito democratico che, dopo aver annunciato l’idea della piattaforma online Pd live, che avrebbe dovuto spingere la diffusione digitale dell’Unità, ha troncato il progetto.
Così il 2010 è stato chiuso con una perdita di 4,6 milioni di euro, il 2011 a -4,3 milioni e il 2010 sotto di altri 1,6 milioni. Ancora alla fine del 2013 il costo del personale pesava per 7,2 milioni di euro su un totale di 17,2 milioni di uscite e, sempre secondo i liquidatori, lo scorso giugno si stampavano 65mila copie del giornale anche se la diffusione media giornaliera non arrivava alle 19mila. Vendite che scendono ulteriormente a luglio, toccando un picco negativo di 16.600. Follia imprenditoriale? Non tanto se si ricorda che, almeno fino a qualche anno fa, la normativa sui contributi pubblici all’editoria legava gli aiuti alla tiratura dichiarata e non alle copie effettivamente vendute.
Alla fine si è arrivati alla situazione attuale, con una società in liquidazione e risorse insufficienti a soddisfare sia i creditori privilegiati con diritto di prelazione sia, a maggior ragione, tutti gli altri. Nel bilancio 2013 gli attivi vengono valutati 10,4 milioni, le posizioni passive 33 milioni. Anche il valore del principale asset, la testata nata 90 anni fa, è stato aggiornato al ribasso e valutato intorno ai 6 milioni di euro contro la passata stima di 23 milioni.
E il Pd? A luglio il partito guidato da Matteo Renzi ha annunciato, con tanto di conferenza stampa dalla sede nazionale, la nascita dell’edicola online Pd live, ma poi, come riportato nella relazione sulla gestione al 31 dicembre 2013, non ha poi sostenuto il progetto. Neanche le campagne di comunicazione del Pd hanno giovato alla diffusione del quotidiano sotto la direzione di Luca Landò. Che potrebbe anzi essere stato penalizzato di riflesso dal crollo delle iscrizioni al partito, quest’anno sotto quota 100mila contro le 539mila del 2013.
Stando però al giudizio di uno dei due liquidatori, una via d’uscita prima della messa in liquidazione ci sarebbe stata: affittare subito la Nie alla Editoriale Novanta di Matteo Fago, azionista di maggioranza con il 51%. Fago non è stato l’unico a presentare nei mesi scorsi un’offerta: in campo c’erano anche la Piesse del gruppo Pessina, la casa editrice Treves, il gruppo Bioera con Daniela Santanché, la News 3.0 di Matteo Arpe (editrice di Lettera43) e persino la società monegasca M&C group. Ma quella di Fago è stata giudicata l’offerta più dettagliata, che avrebbe permesso di liberarsi dei costi di gestione, salvare tutti i posti di lavoro e valutare con serenità tutte le offerte (presenti e attese) per la cessione vera e propria del quotidiano. Così non è stato a causa di veti incrociati tra i soci della Nie e, sul fronte politico, per il mancato appoggio del Pd che ha sempre giudicato l’imprenditore poco “democratico”, poco “renziano”.
Adesso, al di là delle offerte da formalizzare, resta certo che il capitolo Unità non è ancora chiuso e la saga andrà avanti. Forse anche fino al prossimo gennaio. Quando, però, si dovrà concludere per forza l’intera procedura fallimentare.