Il porporato americano è uno dei sostenitori della riabilitazione della messa in latino e tra i principali oppositori della linea aperturista verso i divorziati risposati e i gay. Ma non è l'unico "principe" statunitense "anti bergoglista"
“La Chiesa è come una nave senza timone”. Affondo durissimo del cardinale statunitense Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, la “Cassazione vaticana”, contro Papa Francesco. Burke, creato cardinale nel 2010 da Benedetto XVI che lo ha chiamato da Saint Louis in Missouri a Roma e principale sostenitore della riabilitazione della messa in latino a cui sono legati i lefebvriani, è stato tra i principali oppositori al Sinodo dei vescovi della linea aperturista di Bergoglio verso i divorziati risposati e i gay. La stessa critica mossa dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e curatore dell’opera omnia di Joseph Ratzinger, Gerhard Ludwig Müller, che ha ricevuto la berretta rossa proprio da Francesco nel concistoro del febbraio 2014 e che dopo il dibattito sinodale si è presentato come difensore “della sacra e sana dottrina, che sono chiamato a tutelare”. Quasi come se Papa Francesco non fosse il principale custode della dottrina della Chiesa cattolica.
Dopo aver denunciato manipolazioni e censure al Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia, il porporato americano che presto, come da lui stesso dichiarato, sarà rimosso da Bergoglio per l’incarico onorifico di patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, ha alzato il tiro contro Francesco criticandolo con toni sempre più forti, ma nello stesso tempo sostenendo di non voler “sembrare una voce contraria al Papa”. “Molti mi hanno manifestato preoccupazione – ha confessato Burke – in un momento così critico, nel quale c’è una forte sensazione che la Chiesa sia come una nave senza timone, non importa per quale motivo; la cosa più importante è studiare la nostra fede, avere una guida spirituale sana e dare una forte testimonianza della fede”. Su Bergoglio il porporato tiene a precisare che “ho tutto il rispetto per il ministero petrino e non voglio sembrare di essere una voce contraria al Papa. Vorrei essere un maestro della fede con tutte le mie debolezze, dicendo la verità che oggi molti avvertono. Soffrono un po’ di mal di mare perché secondo loro la nave della Chiesa ha perso la bussola. Bisogna mettere da parte la causa di questo disorientamento perché non abbiamo perso la bussola. Abbiamo la costante tradizione della Chiesa, gli insegnamenti, la liturgia e la morale. Il catechismo non cambia”.
Parole durissime alle quali Francesco aveva già risposto nel discorso conclusivo del Sinodo condannando duramente e con molta chiarezza la “tentazione dell’irrigidimento ostile”, quella che “dal tempo di Gesù è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti, oggi, ‘tradizionalisti’ e anche degli intellettualisti”. Una tentazione alla quale si affianca quella “di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati cioè di trasformarlo in fardelli insopportabili”. Ma a Burke non è bastato e ha sottolineato che “il Papa giustamente parla della necessità di andare nelle periferie e la risposta della gente è stata molto calorosa. Però non possiamo andare alle periferie con le mani vuote. Andiamo con la parola di Dio, con i sacramenti, con la vita virtuosa dello Spirito Santo. Non dico che il Papa lo faccia, però c’è il rischio di interpretare male l’incontro con la cultura. La fede non può adeguarsi alla cultura, ma deve richiamarla alla conversione. Siamo un movimento ‘contro culturale’, non popolare”.
Una critica contro il grandissimo consenso che Bergoglio, fin dall’elezione al pontificato, sta suscitando in tutto il mondo, anche al di là della stretta geografia cattolica. Affermazioni, quelle di Burke, che richiamano quanto aveva dichiarato Benedetto XVI confessando di aver sempre “messo nel conto”, fin dall’elezione dopo la morte di Giovanni Paolo II, le difficoltà che avrebbe incontrato nel corso del suo pontificato chiedendo però di non essere giudicato finché è “ancora in vita”. Nel suo terzo e ultimo libro intervista con il suo biografo, il giornalista tedesco Peter Seewald, Luce del mondo, Ratzinger aveva affermato che “bisognerebbe essere molto cauti con la valutazione di un Papa, se sia significativo o meno, quando è ancora in vita. Solo in un secondo momento – aggiungeva Benedetto XVI – si può riconoscere quale posto, nella storia nel suo insieme, ha una determinata cosa o persona”. “Ma – precisò Ratzinger – che l’atmosfera non sarebbe stata sempre gioiosa era evidente in considerazione dell’attuale costellazione mondiale, con tutte le forze di distruzione che ci sono, con tutte le contraddizioni che in essa vivono, con tutte le minacce e gli errori. Se avessi continuato a ricevere soltanto consensi, avrei dovuto chiedermi se stessi veramente annunciando tutto il vangelo”.
Tra i vescovi “anti Bergoglisti” che hanno criticato il Papa dopo il Sinodo c’è anche lo statunitense Thomas Tobin, che ha sempre accusato Francesco di avere una scarsa attenzione alle tematiche pro life come l’aborto. “Il concetto di avere un corpo rappresentativo della Chiesa che vota su applicazioni dottrinali e soluzioni pastorali mi colpisce come qualcosa piuttosto protestante”. Tobin è convinto che “nel tentare di accomodare i bisogni dell’epoca, come Papa Francesco suggerisce, la Chiesa rischia il pericolo di perdere la propria voce coraggiosa, ‘contro culturale’ e profetica, una voce che il mondo ha bisogno di sentire”. Il presule, che ha espresso grande stima nei confronti del cardinale Burke, ha concluso le sue riflessioni con due slogan abbastanza eloquenti: “Papa Francesco vuole ‘fare casino’. Missione compiuta”; “rilassatevi, Dio è ancora in carica”.